Realtà e carenze dell’apparato difensivo iraniano

di Ehsan Soltani –

Da qualche giorno è ritornata la questione dell’attacco di Israele alle basi nucleari iraniane, cosa ripresa da diversi media di tutto il mondo, sia con posizioni favorevoli che contrarie.
Al di là che tale argomento corrisponda o meno alla realtà dei fatti, è importante riprendere la questione militare iraniana: dopo 33 anni dalla rivoluzione islamica e dopo la sanguinosa guerra di 8 anni con l’Iraq, ancora l’Iran continua ad essere sotto la lente dell’osservazione internazionale, al punto che Teheran ha sviluppato un sistema difensivo con una strategia a lungo termine fondata su quattro elementi:

1 – Deterrenza ‘ambigua’;
2 – Tolleranza del primo scontro;
3 – Scontro reciproco;
4 – Obbligare il nemico all’offensiva di terra;

Dopo la fine della guerra fra Iran ed Iraq, le Forze armate iraniane si sono trovate in una situazione grave: per il 90% gli armamenti in possesso di Teheran provenivano dall’estero e nel periodo della guerra erano andati persi o si erano resi inutilizzabili per la mancanza di pezzi di ricambio, cosa che è continuata fino ad oggi; anche l’approvvigionamento di mezzi dalla Russia e dalla Cina, fra i quali i Mig 29, i Sukhoi Su-24 e i missili HY-2 Haiying, si è rivelata insufficiente. Per risolvere questa situazione, lo sforzo dei periti militari iraniani si è concentrato su due strategie principali:
A – Miglioramento e modernizzazione degli armamenti provenuti dall’estero con pezzi provenienti dalla Russia e dalla Cina, come nel caso dell’aereo Phantom americano al quale sono stati applicati missili cinesi e russi o delle fregate francese Combatant con missili cinesi C 802.
B – Produzione di armamenti in Iran tramite il metodo della reingegnerizzazione o altri sistemi per la fabbricazione degli aerei autoprodotti Hesa Azarakhsh, del carro armato Zulfiqar, della fregata Paykan o ancora dell’elicottero Shabaviz.
Il risultato di queste strategie tuttavia non è ancora definitivo per via della mancanza di risorse finanziarie e del boicottaggio tecnologico da parte della comunità internazionale ed ancor più si presenta come un’incognita per il fatto che il materiale bellico non è stato dovutamente testato né la produzione è stata fatta su ampia scala, cose che non danno il debito peso nella bilancia militare di un conflitto vero e proprio.
Unico obiettivo raggiunto dall’Iran è stato il missile balistico Shahab, il quale ha una gittata di 1300 km, che possono arrivare a quasi 2000 nella variante MRBM.
Consapevoli di queste mancanze e quindi nell’impossibilità di agire per primi, i periti militari iraniani hanno sviluppato la strategia difensiva sui quattro elementi sopra elencati.

– Deterrenza ‘ambigua’.
Con questa tattica militare viene portato l’apparato difensivo in una situazione di ambiguità utilizzando i missili Shahab in grande quantità, in modo da impressionare gli aggressori esteri ed infondere loro timore al punto da fermare l’attacco. Questa cosa è la prima dimostrazione del fatto che l’Iran non detiene materiale bellico sufficiente per svolgere un attacco e quindi del fatto di non possedere una reale capacità di deterrenza.

– Tolleranza del primo scontro.
Vista l’esperienza maturata nel conflitto con l’Iraq, l’Iran ha costruito in modo sporadico nell’ampiezza del territorio strutture difensive, in modo da non subire perdite significative al primo attacco. Ad esempio, i carri armati vengono fabbricati in Lorestan, l’industria elettronica militare si trova a Shiraz, le fabbriche di missili sono a Teheran, i caccia vengono fabbricati ad Isfahan, mentre per il progetto nucleare l’acqua pesante si trova ad Arak, l’arricchimento dell’uranio avviene a Naranz e il reattore si trova a Bushehr.
Lo scopo di tale sporadicità è quello di far capire all’avversario che, non potendo avere ragione del sistema difensivo al primo attacco, l’Iran ha il tempo necessario per lanciare una risposta incisiva.

– Scontro reciproco.
Nel Medio Oriente la capacità di gittata del missile Shahab, che arriva ad essere di 2.000 km, è conosciuta, tuttavia ha una funzione più di guerra psicologica, trattandosi di armi non ‘intelligenti’, ovvero di tipo II, intercettabili dai radar e per di più imprecise nel colpire l’obiettivo: a subire il danno psicologico è in particolare la popolazione, la quale si vede costretta a lasciare i centri abitati e quindi le zone produttive, cosa che avvenne in occasione del conflitto con l’Iraq, allorquando Saddam Hussein fece cadere sull’Iran numerosi missili Al Hussein e Al Abbas.

– Obbligare il nemico all’offensiva di terra.
L’esperienza della guerra con l’Iraq ha inoltre insegnato ai periti militari iraniani che l’inefficienza degli armamenti pesanti può essere sopperita in modo sufficientemente adeguato dall’impiego di militari armati con armi leggere e semi-leggere, spinte dal nazionalismo e dal radicalismo sciita, all’uopo alimentato nella mentalità del cittadino iraniano: lo scopo è quello di arrivare alla guerriglia partigiana sul modello di quella dell’Afghanistan o del Vietnam.

Quelle sopra citate sono strategie ritenute dagli esperti militari iraniani come un deterrente per prevenire eventuali attacchi, ma in realtà si tratta dell’unica via perseguibile da Teheran: tutti i quattro punti presentano infatti evidenti carenze, compreso il nazionalismo ed il radicalismo sciita, i quali risultano essere assai meno impermeabili di un tempo.

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