Russia. L’astro di Navalny cresce con gli arresti

di Gianluca Vivacqua

Le notizie che arrivano dalla Russia sono in realtà una variazione di un refrain piuttosto frequente negli ultimi anni: circa una settantina di sostenitori di Alexej Navalny sono stati arrestati a Mosca e altri venti nel resto del Paese. Di solito, invece, è solo Navalny a rimanere dietro le sbarre, mentre in quest’occasione è stato rilasciato. Solo in quest’ultimo anno ha già avuto ben due condanne con detenzione.
Stavolta il blogger-attivista-segretario politico continua a rimanere a piede libero, dopo la sua ultima esperienza carceraria iniziata il 12 giugno e conclusasi venerdì scorso. Ma per quanto ancora? La domanda è abbastanza lecita, e magari se la starà ponendo lo stesso interessato, se si pensa che il quarantaduenne Navalny dal 2011 in poi è diventato un punto di riferimento della Russia anti-putiniana grazie soprattutto ad una serie sempre più fitta di condanne, limitazioni del suo raggio d’azione e arresti. L’ultima volta che è stato messo in manette non aveva neanche varcato l’uscio di casa, per impedirgli di unirsi ai suoi – vorremmo chiamarli navalniardi, per analogia a comunardi – nell’ennesima manifestazione di protesta contro il Cremlino. Ecco un altro punto chiave da tenere nella massima considerazione: per impedirgli di. Navalny e i suoi di regola vengono fermati dalle autorità a scopo precauzionale, e non perché, oggettivamente, con le loro proteste si possa provare che abbiano causato chissà quali disordini e sconvolgimenti. Per quanto il movimento intorno al leader del partito del Progresso, oltreché presidente della Coalizione Democratica, sia molto cospicuo e popoloso (anche se, come rilevano i dati di un recente sondaggio di Levada Center, non sembra aver fatto ancora breccia nelle grandi masse), è ancora ben lungi dal poter provocare una possibile primavera russa, e, in fondo, non è neanche detto che sia questa la sua reale intenzione. Nei confronti del popolo navalniardo dunque Putin esercita una repressione delle idee, giustificata non da un pericolo reale al suo potere, ma potenziale: e neppure da una palpabile minaccia all’ordine. Non potrebbe essere diversamente, data la linea slavo-gandhiana che da sempre contraddistingue Navalny e i suoi seguaci e simpatizzanti nella reazione all’azione repressiva esercitata contro di loro.
Una linea che paga e alla grande: la candidatura dello scomodo leader alle prossime presidenziali russe del 2018, che in altri tempi sarebbe sembrata una provocazione, oggi come oggi può contare invece su una piattaforma di consensi che sarebbe insensato sottovalutare. Di certo non la sottovaluta Putin, che starà riflettendo su come potrebbe essere una Russia guidata da un laureato in legge ed esperto in economia, che si è inventato due movimenti indipendenti dopo aver lasciato il suo primo partito, Jabloko; che ha comprato quote di varie compagnie per garantire agli altri piccoli azionisti il diritto all’informazione dall’interno delle società; che ha attirato l’attenzione del mondo accademico internazionale con la sua attività contro la corruzione e per la trasparenza; e che è un maestro delle mobilitazioni di piazza. Insomma, una specie di Beppe Grillo dal background molto meno artistico impattato in un mondo dai colori molto più cupi e lugubri di quelli dell’inconcludente e, spesso, inconsistente teatrino della politica italiana.