Serbia. Aleksandar Vulin, da possibile erede di Vucic alle dimissioni

di Lorenzo Pallavicini

Le dimissioni di Aleksandar Vulin sono uno degli eventi politicamente più rilevanti della campagna elettorale in Serbia, dopo che il presidente in carica Vucic ha indetto le elezioni locali e parlamentari anticipate, l’ennesima volta negli ultimi dieci anni.
Vulin è l’uomo a cui l’attuale presidente serbo ha affidato i dossier più caldi, a partire dal 2013 quando era direttore della cancelleria per il Kosovo per finire al ministero della difesa e alla delega ai servizi segreti da cui si è dimesso pochi giorni fa e che gli aveva conferito un notevole potere, secondo solo a quello del presidente, sul quale alcuni osservatori pronosticavano proprio Vulin come possibile futuro successore.
Le dimissioni di Vulin erano state chieste a gran voce dalle manifestazioni anti governative che si sono succedute a Belgrado con regolarità in seguito alle sparatoria nell’istituto scolastico Ribnikar, con diversi morti ad opera di un ragazzo quattordicenne allievo dell’istituto, che aveva scosso il paese la scorsa primavera.
La Serbia è una realtà con un rapporto tra popolazione e armi da fuoco tra i più alti al mondo con oltre 2,7 milioni di armi registrate, nonché principale produttore balcanico, con esportazioni anche nella repubblica Srpska e nel nord del Kosovo, dove le armi usate nella incursione armata presso il monastero di Banjska erano di provenienza serba, sebbene ad oggi non siano comparse prove schiaccianti su un diretto coinvolgimento di Belgrado in tale operazione che ha provocato forti tensioni tra i due governi.
La presenza di Vulin, almeno sulla sfera pubblica, era diventata scomoda. Lo scorso luglio, infatti, il ministero delle Finanze statunitense lo aveva sanzionato con l’accusa di coinvolgimento nella criminalità organizzata e in traffico di stupefacenti, nonchè di aver relazioni con il trafficante d’armi serbo Slobodan Tesic, da anni considerato il più importante nei Balcani e già nel decennio 2003-2013 sulla lista nera dell’ONU per aver violato l’embargo sull’export di armi verso la Liberia.
Vulin è stato il primo esponente serbo di spicco ad essere sanzionato dai tempi del governo Milosevic ed è probabile che dietro questa mossa americana ci sia anche la preoccupazione dei suoi legami, forti e mai negati, con gli esponenti del Cremlino, in quanto è legato alla corrente più conservatrice del partito di Vucic e del legame di storica amicizia con la Federazione Russa, elemento che la guerra in Ucraina ha reso più pericoloso agli occhi occidentali.
E’ difficile immaginare che la mossa di Vulin non sia stata concertata privatamente con lo stesso Vucic e la dichiarazione, polemica, del primo riguardo al fatto che Stati Uniti e UE abbiano chiesto la sua testa per non imporre sanzioni alla Serbia fa intendere che tale personaggio per gli occidentali fosse troppo compromesso per ricoprire un ruolo così delicato e in cui poteva avere un potere molto forte.
Con l’assenza, almeno sulla scena pubblica, di Vulin, Vucic potrebbe ammiccare al voto moderato e neutralizzare le proteste anti governative, continuando con la sua attuale politica dei due forni, basata sulla continuità del governo attuale senza però gli elementi più oltranzisti e oramai compromessi agli occhi degli occidentali.
Al di là della questione kosovara, un tema importante per l’elettorato medio serbo è, infatti, quello economico. Gli effetti inflazionistici hanno avuto forti ripercussioni anche sull’economia serba, pari ad oltre il 15% sui prezzi al consumo, compresi i beni energetici (più 23%).
Pur non scordando le radici iniziali che lo videro delfino di un politico radicale come Vojislav Seselj, Vucic è ben conscio che non può esagerare nel sostenere il nazionalismo serbo più spinto, che vorrebbe sul Kosovo una politica più muscolare col rischio di tagliare definitivamente i ponti con l’Unione Europea e di subire, ad esempio, forti sanzioni economiche che causerebbero serie difficoltà ad un’economia con una forte dipendenza dall’estero, specie dai russi, sul tema energetico.
Gli scambi commerciali con l’Ue sono, di fatto, decisivi per l’economia del paese. Nel 2022 essi erano pari a quasi 39 miliardi di euro e gli investimenti diretti europei coprono nell’arco del decennio 2011-2021 il 60% del totale, che fanno della Unione Europea il primo partner commerciale della Serbia.
Il voto serbo, a parte quello locale nella capitale Belgrado, appare segnato, con alcuni dubbi degli osservatori internazionali sullo sbilanciamento del potere mediatico a vantaggio dell’attuale presidente, che sfrutta la divisione delle opposizioni, non in grado di formare un insieme unitario competitivo anche fuori Belgrado contro il partito del presidente.
L’Unione Europea sarà spettatrice interessata di questa partita e la probabile conferma di Vucic farà sì che si proseguirà con l’attuale fase di stallo sul dossier Kosovo, un quadro che non porterà novità significative.
Solamente se la alleanza, sancita solo a Belgrado, tra il partito di Vucic e quello, ben più radicale, del suo vecchio mentore Seselj, condannato per crimini di guerra dal tribunale internazionale dell’Aja nel 2018, si allargasse anche al parlamento potrebbe mutare lo scenario, in cui dietro le quinte si potrebbe immaginare per Vulin un ruolo importante, per la sua esperienza nel gestire dossier delicati e per i suoi contatti all’interno della Difesa e dei servizi segreti, il cui ruolo è da sempre significativo nella politica serba.