Sicurezza economica e interesse nazionale (IN)

di Massimo Ortolani –

E’ noto che in assenza di una precondizione operativa, quale il raggiungimento di un adeguato livello di stabilità economica, si creano significativi ostacoli al perseguimento dell’interesse nazionale (IN) di un paese. E per il policy maker il percorso analitico di identificazione degli elementi costitutivi dello IN non può che discendere in primo luogo dal considerare la categoria degli interessi vitali, ricercandone l’ottimizzazione subordinatamente ai vincoli di natura esogena, oggi costituiti dalla forte competizione geoeconomica e geopolitica. Interessi vitali che, sul piano del diritto, appaiono  inestricabilmente radicati nel rispetto dignità  della persona umana, ovvero come costituenti la precondizione per l’esercizio di altri diritti umani. (1)

Volendo riferirsi alla definizione di IN contenuta ad esempio nel manuale di strategia dei Marines USA, è già stato osservato (2) come “gli Interessi Nazionali coinvolgono normalmente quattro aree principali: sopravvivenza e sicurezza, integrità politica e territoriale, stabilità economica (nonché il) benessere e (la sua) stabilità”. Una tale definizione consente già di attenuare la separatezza, per il policy maker, intercorrente tra difesa della generalità dei valori sottesi agli obiettivi suindicati e la concretezza delle azioni di governo. Notoriamente, ai fini dell’Interesse Nazionale, rileva in primo luogo l’esigenza dell’intangibilità delle componenti costitutive dello Stato, così come di fattori valoriali rappresentati dal principio di autodeterminazione dei popoli, di matrice kantiana. Ma la difesa dell’IN attraverso il rafforzamento della sicurezza nazionale deve comportare inevitabilmente anche la tutela di altre componenti, quali  benessere, e stabilità economica come detto, ispirate all’ottenimento del massimo piacere per il massimo numero di persone e in tal senso riconducibili all’utilitarismo del filosofo Bentham; e, però, con il vincolo di carattere distributivo di dovere comunque garantire i bisogni essenziali minimi a chiunque.
Sulla base di questa definizione, semplificante ma utile, si deve convenire che l’alveo definitorio dell’Interesse nazionale può essere solo in parte ricompreso in un programma di governo, essendo per la parte di natura assiologica (ovvero di espressione di fattori valoriali) già riflessa nelle norme costituzionali ed ordinamentali di un paese. Quanto premesso serve solo a delineare molto succintamente la cornice del quadro evolutivo di quella che potremmo definire una cultura dell’Interesse Nazionale in Italia, da declinarsi in relazione alla sicurezza economica.
Concentrando il focus analitico su quelle componenti dell’IN che costituiscono fattori del benessere nazionale, è bene sottolinearne l’inevitabile, relativa mutevolezza nel corso del tempo, per ragioni storiche. Dato che mutamenti nelle relazioni economiche e politiche internazionali, sviluppo economico e tecnologico, dinamiche climatiche, ecc, generando mutamenti negli strati sociali, si riflettono in modifiche nelle aggregazioni politiche, e quindi anche nei modelli ideologici in cui si rispecchiano le politiche per il perseguimento dell’IN. Consideriamo, ad esempio, il generale modello ideologico di riferimento ormai storico per il nostro paese, quello dell’intervento statale in regime di liberaldemocrazia, oggi soggetto a spinte discorsive e pressioni demolitorie esercitate da movimenti di matrice sovranista/populista, talora generate anche da etno-nazionalismo, quando non da pulsioni sociali verso forme di autocrazia. (3)
E spesso opportunisticamente alimentate dal risentimento dei disillusi della deindustrializzazione, da loro considerata vittima della globalizzazione.

Tenendo comunque presente  che le componenti valoriali ed intangibili dell’IE non possono considerarsi separate dal quelle tangibili di benessere economico-sociale sul piano identitario, è bene sottolineare che indispensabili indicatori di benessere idonei a rendere assertive politiche di IN possono individuarsi in Italia in quelli che emergono dall’importante contributo dell’ISTAT in tema di statistiche economico-sociali. Ed in primo luogo il macro-indicatore BES, del benessere equo e sostenibile (4), che confluisce per legge nell’allegato al documento di economia e finanza: DEF. (5)

La relazione con la sicurezza economica implicita nel BES emerge concretamente dal grado di soddisfacimento di 12 importanti indicatori, tra i quali: reddito disponibile e ricchezza, spesa per le condizioni materiali di vita, speranza di vita in buona salute, disuguaglianza della distribuzione del reddito disponibile, indice di criminalità predatoria, ovvero l’indice di rischio di povertà, l’indice di vulnerabilità finanziaria, l’indice di bassa intensità lavorativa, ecc, ecc. E, però, dato che nessuna coalizione di governo in Italia potrebbe esimersi dal considerare oggetto di IN il miglioramento della mobilità sociale e, soprattutto, il potere assicurare ai giovani di oggi un tenore di vita almeno pari a quello raggiunto dai genitori, sarebbe opportuno affinare ed ampliare la numerosità degli indicatori BES allo scopo di acquisire stime prospettiche sulle tendenze alla diminuzione della natalità, il continuo invecchiamento della popolazione, il tasso di morbosità, l’andamento della ricchezza personale o familiare, anche in una ottica di comparazione con i paesi partner nell’Ue. (6)

Ne consegue, pertanto, che la struttura di indicatori BES identifica gran parte di contenuti guidelines per una sicurezza economica a tutela dell’Interesse Nazionale. Per il policy maker, infatti, perseguire concretamente una politica assertiva dell’IN significa attivare on going, nella prassi politica quotidiana, apposite e strategiche azioni dedicate. Dato che affidarsi ad una struttura di dati che registrano con accuratezza il passato, non garantisce che la loro proiezione futura risulti sempre necessariamente affidabile. E ciò non per ragioni di natura tecnico-estrapolativa, bensì per la complessa concomitanza ed interdipendenza di impatti/minacce di natura mista: geopolitica, militare, climatica, terroristica, alimentare, ecc, che andranno a comporre lo scenario finale da prevedere. In tal senso appare molto lodevole che il governo tedesco, (7) come già quelli di altre importanti nazioni tra le quali gli USA, abbia per la prima volta emanato un piano denominato: “Strategia integrata per la sicurezza nazionale”, che contempla una serie di minacce (8) ben più ampia di quelle sopra indicate.

E sarebbe auspicabile  che anche il nostro paese emanasse un documento sulla sua strategia per la sicurezza nazionale, poiché in Italia il rapporto tra sicurezza economica ed IN risulta più fortemente condizionato che in altri dalla combinazione di:
a) priorità delle misure di politica interna ed estera e
b) gestione del vincolo esogeno connesso alla cessione di sovranità connessa in primis all’operato della UE, così come anche a quello di organismi europei indipendenti, quali la banca centrale BCE ed autorità come ESMA, EBA ed EIOPA. Sarebbe infatti illusorio pensare che interesse nazionale e interesse europeo coincidano, stanti ad esempio le ben note difficoltà e limitazioni operative all’implementazione, da parte di Bruxelles, della politica estera, che svolge invece un ruolo pivotale nelle scelte di geoeconomia di ogni stato membro. Ne discende pertanto il compito, per il governo di ciascuno stato membro, di migliorare la propria sicurezza economica difendendo l’interesse nazionale dalle conseguenze non benefiche, o deleteree, ascrivibili alle proposte di altri stati membri, se dotati di maggiore potere persuasivo sul piano delle scelte strategiche di politica economica unionale. Cercando di sostenere, con l’affinamento di alleanze diplomatiche tattiche e di politiche comunicative assertive, le esigenze connesse alle peculiarità idiosincratiche del proprio paese (le vicende dell’immigrazione sono un esempio calzante al riguardo).

Ma potere operare significativamente a tale scopo postulerebbe innanzitutto la necessità di inserire le politiche per la sicurezza economica nazionale in uno spazio operativo più ampio di quello ora consentito sul piano istituzionale dal voto all’unanimità su temi di vitale interesse per gli stati membri della UE, come quelli della politica estera e della sicurezza UE. E, però, la delicatezza delle modifiche istituzionali richieste al riguardo comporterebbe inevitabilmente complesse azioni di tatticismo diplomatico, più facili da gestire quando realizzabili nell’ambito della “Cooperazione rafforzata”. (9)

Rimangono comunque di indiscutibile rilevanza strategica, all’indiretto perseguimento dell’interesse nazionale, i contributi della UE in materia di sostegno finanziario (si pensi al PNRR) a riforme ed investimenti, ovvero alle preziosissime opportunità di economie di scala ottenibili con progetti di spesa comune connessi all’implementazione dell’autonomia strategica ed al near-shoring europeo di delocalizzazioni industriali. Sarebbe lungo elencare le aree di intervento per tali azioni di assertività, peraltro già notorie: dalla realizzazione di un pieno mercato UE dell’energia, alla prevenzione degli effetti distorsivi connessi agli Aiuti di Stato, ad un più sinergico utilizzo degli strumenti di difesa commerciale, alla calibrazione temporale dell’impatto economico degli aiuti europei sul Green Deal, ecc. Un insieme di fattori, però, accomunati da un unico denominatore, vale a dire il fatto che è in primo luogo la crescita a garantire a tutti la stabilità. Da qui l’interesse europeo, e ad un tempo nazionale, ad evitare fughe in avanti, come potrebbero essere ad esempio quelle di volersi a tutti i costi rendere indipendenti dalla Cina sulla produzione di semiconduttori o di pannelli solari.

Mentre è riconosciuto che, per rendersi indipendenti sui semiconduttori, sarebbero necessari decenni, e che invece per  ridurre la dipendenza dalle batterie entro il 2030 sarebbe necessario investire oltre 160 miliardi di USD.  Poiché tutti ricordiamo che la Cina ha però nel tempo abusato dell’architettura regolatoria, economica e finanziaria globale, sfruttandone i benefici ma troppo spesso rifiutandosi di adeguarsi alle regole, è necessario definire un approccio geoeconomico verso Pechino, che riesca a rendere compatibili collaborazione industriale e dialogo politico. Un primo indirizzo operativo è a tale proposito contenuto nella recente comunicazione presentata dalla Commissione in relazione alla sicurezza economica dei paesi UE, e che individua quattro tipi di rischi relativi: alle catene del valore, alle infrastrutture critiche, alla sicurezza delle tecnologie e alla coercizione economica. (10)

Trattasi di una tematica molto spinosa in quanto vi si prospetta l’ipotesi di esaminare ex ante gli investimenti europei diretti verso paesi terzi. Ai fini della valutazione dell’impatto complessivo di siffatte proposte sulla sicurezza economica andrà, però, tenuto conto delle diversità di riposizionamento geoeconomico dei paesi membri UE verso la Cina, così come delle probabili ritorsioni che potrebbero essere attivate da paesi terzi, colpiti da tali eventuali limitazioni al flusso degli IDE, anche in termini di parallele restrizioni dei loro potenziali investimenti nella UE. Ad oggi rimane quindi da stabilire, sul piano della condivisione politica degli stati membri, un accettabile punto fermo nella definizione di siffatte misure di tutela della sicurezza economica, tra il favorire/sfavorire, con giustificato equilibrio, autarchia e protezionismo, rispetto al paradigma storico della libertà di movimento dei capitali. Dovendosi pertanto valutare, in particolare con applicazioni di intelligence economica, le modalità di distribuzione prospettica degli impatti geoeconomici di siffatte proposte tra i paesi membri. (11)

Ma tale scopo potrebbe essere utile riflettere anche su un diverso modo di interpretare la politica industriale, come quello recentemente proposto negli USA da J.Yellen e J. Sallivan (12) in chiave presuntamente non protezionistica, ed anche in risposta alle obiezioni sull’IRA. Preconizza l’esigenza di adottare due tipi di politica industriale globale: la politica industriale estera e la politica industriale congiunta. La politica industriale estera si riferisce ai paesi che utilizzano gli strumenti della politica estera per far avanzare le loro politiche industriali nazionali all’estero. La politica industriale congiunta è quando i paesi allineano le loro strategie interne attraverso il coordinamento internazionale. Arrivando alla conclusione, opinabile, del sostegno a catene di approvvigionamento collaborative, in cui i diversi Paesi trovano nicchie nelle complesse reti di produzione globali. Così che queste catene, distribuendo il valore aggiunto economico in tutto il mondo, e dando a più Paesi l’opportunità di beneficiarne, rendono compatibile la politica industriale interna con l’internazionalismo all’estero.

Trattasi di un approccio opinabile nella misura in cui non si specifica, ad esempio, come per la UE e l’Italia il rischio di delocalizzazioni industriali oltre atlantico, attratte dalle maxi incentivazioni USA dell’IRA, possa risultare  benefico. In realtà quello che emerge, quindi, in relazione a siffatte tematiche geoeconomiche connesse con l’IN, è che le politiche nazionali di de-risking appaiono ancora una sfida molto difficile da praticare, in assenza di una valutazione basata su dati, e di una valida metodologia di stima dei rischi che esistono nei confronti di stati amici od alleati, idonea a rendere complementari e non avversarie le rispettive transizioni di tecnologie verdi. Molto diverso da tale approccio, e più trasparente, appare invece quello UE ad investimenti da realizzare nell’ambito IPCEI, per beni pubblici europei, per rafforzare il fattore di condivisione di valori economici oltre i confini nazionali con apposite partnership industriali, e per raggiungere obiettivi di innovazione radicale e di grande rilevanza tecnologica e produttiva.

Uno programma politico di condivisione multi-obiettivo progettato in una ottica geoeconomica oltrepassante i confini territoriali della UE, e che potrebbe risultare molto vantaggioso per l’IN, appare ora quello connesso alla importante iniziativa di diplomazia economica di  trasformazione del progetto Mattei nel piano Africa. Trattasi di una iniziativa tanto sfidante quanto rischiosa, sia per il nostro paese che per la UE – che ha riservato all’Africa 150 dei sui fondi Global Gateway – ma che sarà certo meglio definita solo in occasione della Conferenza Italia-Africa del Novembre prossimo. Dovendosi nel frattempo implementare su grande scala un approccio multistakeholders, fondamentalmente ma non esclusivamente ancorato a energia, migranti e finanziamenti, oltre ad identificare i singoli paesi beneficiari. Approcci geoeconomici in parte similari e potenzialmente valutabili al riguardo, potrebbero essere quelli in atto da parte  del dipartimento del commercio statunitense con una nutrita serie di paesi indo-pacifici nell’ambito della iniziativa IPEF: Indo-Pacific Economic Framework. Così da potere tra l’altro creare, ai sensi di quanto previsto nello European Critical Raw Material Act UE, una sorta di African Economic Framework che possa preludere alla definizione di vantaggiosi accordi con tali paesi per la fornitura di materie prime “critiche”, e relativa industrializzazione, idonea a marcare le differenze con il trattamento loro riservabile dalla Cina.
Stante, comunque, l’esigenza di attivare una maggiore mole di investimenti nel nostro paese, un aspetto di grande rilevanza sistemica per l’Italia in tema di sicurezza economica dovrebbe eminentemente focalizzarsi sulla attrazione, attivazione e monitoraggio degli investimenti esteri, nella forma sia greenfield che di M&A. Con l’emergere inevitabile dell’importanza per antonomasia delle funzioni regolatorie del Golden Power. Qualora la UE riuscisse, inoltre, a mettere d’accordo i paesi membri nel  monitorare uniformemente anche gli investimenti europei in uscita, ne potrebbe conseguire  di dover eventualmente ricalibrare anche le agevolazioni finanziarie che ciascuno stato membro eroga ad investimenti esteri in entrata da paesi che non rispettano ad es. le regole antidumping, ovvero  diritti umani o civili. Dato che gli investimenti, a differenza del commercio, sono prerogativa delle politiche nazionali.

Poiché minacce di spionaggio economico-finanziario e di dipendenza economica, anche da paesi membri UE e non solo da potenze autocratiche, possono essere certamente lesive di interessi vitali del nostro paese, gli ambiti operativi del Golden Power, di maggiore impatto sulla sicurezza economica, attengono ora alle mascherate e strumentali vesti istituzionali con le quali stati esteri, nascosti da paraventi societari, o veri e propri hacker al loro servizio, potrebbero impadronirsi delle più avanzate innovazioni nei campi dell’AI o delle tecnologie emergenti, quando non pilotare in Italia l’attività di importanti organismi di informazione e telecomunicazione. Il perseguimento dell’IN attraverso azioni di sicurezza economica attiva richiede di essere esteso ben oltre l’ambito specifico del Golden Power, data la rilevanza strategica oggi ascrivibile alla tutela dell’utilizzo delle infrastrutture dorsali di connettività digitale, anche subacquee come i gasdotti, così come dell’uso sicuro dello spazio per utilizzi civili, oltrechè militari.
Non si condivide quindi l’opinione di che tende ancora a considerare ambiti separati il Golden Power e la politica industriale, nella misura in cui compito prioritario di questa ultima per l’interesse nazionale comporta sia di selezionare trend produttivi strategici, che di colmare gap accumulati nel campo di quelli che si annunciano come i nuovi trend emergenti nei prossimi anni: nell’elettronica – mirando in specifico all’AI – nel recupero dei materiali, nella diffusione dell’innovazione in generale. E cercando di realizzare, con oculate forme di incentivazione, una politica industriale in una ottica di convivenza di più stato con più mercato, facilitata in tal senso dall’operato di eventuali fondi sovrani dedicati. Soprattutto allo scopo di colmare il  grave gap relativo di produttività, che l’Italia si porta addosso da troppi anni, e difficile da sradicarsi in vista dei probabili  aumenti retributivi in prospettiva connessi al recupero del potere d’acquisto andato perduto con l’inflazione.

Gap da colmare anche con misure per l’efficientamento del capitale intangibile delle aziende, sia tecnico che umano, connesso alla gestione della formazione al lavoro. Per soddisfare esigenze di sicurezza economica che promanano da una mancata, e tuttora carente, programmazione previsiva da parte dei policy maker  del grado di discordanza tra esigenze del mercato del lavoro e formazione scolastica. (13)

Una politica industriale per la sicurezza economica che non potrà inoltre prescindere anche dalla tutela da minacce di natura sempre di più digitali, riconducibili all’emergere  di notorie coercizioni e costrizioni economiche da parte delle oligarchie tecnologiche di concentrazione, per l’appunto digitale. Il riferimento è in primis all’operato dei big tech, sia per il loro strapotere di mercato (posizione dominante) nel fagocitare potenziali piccoli concorrenti, ma soprattutto per la loro capacità di selezionare/incanalare i flussi di informazione sulla rete e sui social, ed in modo sufficiente ad  influenzare opinioni pubbliche e giudizi politici, a detrimento dell’IN. E con la necessità, quindi, di implementare azioni di carattere normativo-certificativo sia sul loro operato, sia su quello di piattaforme web estero-guidate, capaci di operare sottilmente sui versante informativo dei social, con celati e malevoli intenti di guerra cognitiva.
In tema di vincolo esogeno di origine unionale, sono infine  da considerare anche le declinazioni delle politiche UE di adattamento agli impatti climatici. Dato che, in particolare per le proposte in tema di edifici green, sembrerebbe palesarsi una potenziale distonia tra il nostro paese e Bruxelles, fondamentalmente incentrata sull’esigenza di una maggiore gradualità di applicazione temporale delle stesse. Nella misura in cui l’onere statale per efficientamento energetico abitativo, stante la numerosità dei proprietari di immobili potenzialmente candidabili ai bonus edilizi nel ristretto lasso di tempo ancora residuo, risultasse conflittuale con i criteri di costo opportunità nell’allocazione ottimale della spesa pubblica.

Da ultimo, in considerazione dell’elevatezza relativa del debito pubblico italiano, non possono ignorarsi gli impatti della politica monetaria ai fini della sicurezza economica e dell’IN. In merito sono notori i punti di criticità relativi ai ritardi nell’attuazione del mercato unico dei capitali e alla mancanza di un sistema europeo di assicurazione dei depositi. E l’imputato  non può che essere nuovamente la UE, quando si tratti della non ancora efficiente gestione delle crisi bancarie, se comparata alla elasticità del quadro giuridico di vigilanza operante negli USA. (14)

Inoltre, negli attuali frangenti temporali fortemente segnati dal riemergere dell’ inflazione, al fine di considerarne gli impatti occulti sulla stabilità e la sicurezza economica, i policy makers  dovrebbero monitorare ed essere sensibili anche gli esiti della cessione di sovranità nazionale ad una entità terza ed  indipendente dalle politiche nazionali, come la BCE, seguendo in particolare l’andamento intertemporale dell’indicatore cosiddetto quoziente di equità, che indica le variazioni relative tra crescita economica e inflazione. Un indicatore, quindi, che segnala indirettamente se la tutela della stabilità monetaria comporti dei costi reali netti in termini di crescita. E’ già stato autorevolmente osservato che, più il quoziente è alto, più si riduce il rischio di costi da stabilità monetaria; quindi  con impliciti minori oneri per le politiche di bilancio nazionali di ridistribuzione dei redditi.

Mentre l’errore della BCE, di avere fatto trascorrere un periodo inerziale troppo lungo prima di alzare i tassi, in presenza di una inflazione che si faticava ad intravedere cosi elevata e persistente come quella attuale, (15)  è invece un tipico esempio della perdita di tempestività e di autonomia operativa di una banca centrale sovranazionale rispetto ad una nazionale, che sono state sacrificate in nome della mitigazione delle differenze strutturali di produttività presenti nelle economie dell’area euro. Con impatti indiretti sul nostro paese nella misura in cui durata ed elevatezza dei tassi possono contribuire a controbilanciare negativamente gli effetti del PNRR, ovvero ad attenuare il ritmo della ripresa economica. Peraltro, in tema di lotta all’inflazione e di tassi elevati gestiti dalla BCE, è stato anche già suggerito che, per paesi ad elevata volatilità dei prezzi, come l’Italia, la strada maestra è quella di affidarsi a più penetranti interventi dell’Antitrust a tutela della concorrenza.

Ai fini delle politiche per l’IN emerge quindi la significativa importanza da riservare oggi  al monitoraggio comparativo della disarmonia delle regole in ambito bancario-finanziario. (16)  Ovvero: degli svantaggi/vantaggi relativi, connessi ad es. all’impatto sulla operatività bancaria delle norme emanate in tema  di ammontari del capitale di vigilanza, della contabilizzazione dei crediti non in bonis; e ciò anche in relazione alle diverse incidenze del ricorso al finanziamento bancario ed alle differenti caratterizzazioni dimensionali delle imprese tra diversi stati e diverse giurisdizioni. Tenendo comunque presente il monito segnalato da Mario Draghi in tema di crisi bancarie, nel suo (15) discorso al M.I.T.: “Data la dimensione limitata di queste crisi, i governi dovrebbero finanziare, se necessario, qualsiasi intervento necessario e evitare di creare un conflitto per le banche centrali tra perseguire gli obiettivi della politica monetaria e quelli della stabilità finanziaria”.

Note.
(1) A seguito della frammentazione della globalizzazione, è oggi divenuto un importante obiettivo della sicurezza economica anche quello di assicurare il soddisfacimento degli “interessi vitali” nel garantire l’approvvigionamento delle materie prime strategiche, in quanto critiche.
(2) In merito si veda: N. Sanfelice di Monteforte: Gli interessi nazionali: maneggiare con attenzione – Analisi Difesa e MCDP 1-1 Strategy (marines.mil)
(3) Per maggiori chiarimenti sul talune forme di autocrazia, se “elettorale” (Turchia) o “chiusa” (Tailandia) si vedano:  La sottile linea rossa tra democrazia e autocrazia elettorale (thewisemagazine.it) e   Il Trend Illiberale che sta contagiando l’Occidente
(4)  Aggiornati al 2022 i 12 indicatori Bes per il Documento di Economia e Finanza 2023 (istat.it)
(5) Come previsto dalla Legge n. 163 del 4 agosto 2016, a partire dal 2017 un sottoinsieme di 12 indicatori per la misura del benessere equo e sostenibile  è entrato a far parte del ciclo della programmazione economica in Italia.  (Di  un qualche interesse in materia appare inoltre il Social Progress Index, sviluppato da IEC: Institute for Enterpreneurship and Competitiveness dell’università LIUC)
(6) Si veda al riguardo: Statistics | Eurostat (europa.eu), e soprattutto l’articolo di M. Fortis su IlSole24Ore del 21/06/2023 dal titolo “La crescita economica mitiga la povertà estrema meglio dell’assistenzialismo”, in cui vengono presentati i 13 Indicatori Eurostat di deprivazione materiale e sociale.
(7) Le minacce interne ed esterne prese in considerazione nel piano tedesco di sicurezza nazionale fanno infatti riferimento a: spionaggio, estremismo terrorismo, attacchi informatici, catastrofi naturali, criminalità organizzata, rischi nucleari, chimici, biologici, radiologici, sabotaggio, comunicazioni satellitari e spaziali, disinformazione, protezione delle infrastrutture critiche, approvvigionamento di materie prime, sistema alimentare.
(8) Per una visione delle 9 basilari aree di intervento dell’intelligence economica a tutela dell’interesse nazionale presenti nel Framework del 2001 enucleato dal noto esperto in materia G. Treverton, si veda pag 16 e seguenti del libro dello scrivente: “Intelligence economica e conflitto geoeconomico” Ed. goWare – 2020. Mentre una elencazione di minacce, nascoste od in apparenti, per l’interesse nazionale è presentata in un contributo dello scrivente ai lavori editoriali dell’Accademia Internazionale delle Scienze dell’Ucraina: collected-papers-book.-unknown-wars.-2022.pdf (euasu.org)
(9) Sono di ordine sia istituzionale che finanziario le obbiezioni di molti stati membri all’adozione, da parte del Consiglio UE, della votazione a maggioranza qualificata. Quando il Consiglio vota una proposta della Commissione o dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, la proposta è adottata se si raggiunge la maggioranza qualificata. La maggioranza qualificata è raggiunta se sono soddisfatte contemporaneamente due condizioni: – il 55% degli Stati membri vota a favore (in pratica ciò equivale a 15 paesi su 27) e – gli Stati membri che appoggiano la proposta rappresentano almeno il 65% della popolazione totale dell’UE. Una soluzione alternativa potrebbe essere quella di “particolari azioni” di politica estera e di sicurezza (PESC), attivabili nell’ambito della cooperazione rafforzata tra un gruppo di paesi membri. La decisione di creare una cooperazione rafforzata è trasmessa alla Commissione Europea, che ne informa il Consiglio della UE, il quale l’autorizza esprimendosi a maggioranza qualificata (art. 11 Trattato CE). Anche se sono esplicitamente escluse dalla PESC le cooperazioni rafforzate nei settori aventi implicazioni militari o nel settore della difesa.
(10) Ved: An EU approach to enhance economic security (europa.eu)
(11) Un siffatto contesto per la definizione di una politica economica europea rappresenterebbe un esempio eclatante di quel nuovo modello di economic statecraft, di cui discutono con sempre maggiore frequenza gli economisti: Strategic Intelligence (weforum.org)
(12) Bentley Allan: La nuova visione dell’amministrazione Biden per il commercio e gli investimenti globali – Carnegie Endowment for International Peace
(13) E ciò per il fatto che è ormai di diffusa accettazione l’idea, in un mondo digitalizzato, di una formazione con carattere di continuità  temporale durante tutto il percorso di vita lavorativa. (La grave carenza  di medici – di base in particolare – rappresenta oggi un serio monito, ed un chiaro segnale di peggioramento della qualità della vita sanitaria, quale indicatore di benessere nazionale).
(14) Recenti studi hanno messo in evidenza come, pur tenendo presenti i differenti modelli di business,  le banche UE devono rispettare requisiti patrimoniali più elevati rispetto ai competitor USA in relazione al common equity Tier1, ed anche in relazione ai futuri requisiti richiesti dalla piena attuazione di basilea 3+. Mentre, in tema di revisione della disciplina delle crisi bancarie, così si esprimeva il governatore I. Visco: “La possibilità di derogare in via temporanea ai vincoli che limitano l’accesso a finanziamenti straordinari, pur con i dovuti presidi per scongiurarne un utilizzo indiscriminato, rafforzerebbe il quadro normativo sulla gestione delle crisi, permettendo di agire con rapidità in situazioni di rischio sistemico, che possono essere generate anche da intermediari di piccole dimensioni” cifr: cf_2022.pdf (bancaditalia.it) . Proprio di recente la UE si è inoltre resa più disponibile all’utilizzo preventivo dei fondi di garanzia dei depositi, parallelamente alla valutazione della disciplina sugli Aiuti di Stato per le banche.
(15) Come affermato da M. Draghi nel suo discorso al M.I.T. in occasione del conferimento del premio M Pozen: “Con il beneficio della retrospettiva, è probabile che le autorità monetarie avrebbero dovuto diagnosticare il ritorno dell’inflazione persistente in anticipo”. E ancora: “Tassi più elevati si stanno ora diffondendo nell’economia e ci sono segnali di rallentamento nel settore manifatturiero”. Il discorso (integrale) di Mario Draghi e le incertezze del domani – Formiche.net
(16) Si omette di dilungarsi a segnalare, a fini di IN, i rischi di contaminazione dell’apparato bancario-finanziario italiano ed europeo associabili a potenziali default che potrebbero originare dal cosiddetto  shadow banking, comparto di recente definito a “rischio sistemico” da parte del responsabile della vigilanza della BCE. Alcuni organismi di tale settore (fondi pensione, hedge fund, assicurazione,asset manager), che negli ultimi anni ha registrato una forte crescita, potrebbero anch’essi risultare a rischio di insolvenza qualora  si trovassero alle prese con inarrestabili flussi in uscita, ovvero con la decisione dei loro clienti di ritirare i soldi depositati, sulla scia di una ventilata crisi di fiducia nei loro confronti. Tenuto conto, sopratttutto, delle forti interdipendenze funzionali tra tali organismi, non sottoposti a vigilanza, e le banche invece soggette alla vigilanza. cf_2022.pdf (bancaditalia.it) e Bce: alert fuga depositi anche per banche sistemiche – FinanzaOnline e Bce alle banche: fate stress test sulle esposizioni alle shadow bank – MilanoFinanza News