di Alessio Cuel –
Dopo mesi di negoziati, successivi alle elezioni del 23 luglio scorso, si risolve infine lo stallo, in Spagna, aprendo la strada alla formazione del terzo governo guidato da Pedro Sanchez. Decisivo, per la formazione del nuovo esecutivo, è l’accordo tra i due leader del PSOE, Pedro Sanchez, e degli indipendentisti catalani di Junts, Carles Puigdemont.
Il nuovo governo di minoranza, che sarà sostenuto dai socialisti e da Sumar, formazione di sinistra radicale, godrà dell’appoggio esterno, oltre che di Junts, degli autonomisti baschi di Bildu. Nella ricerca di un compromesso tra i vari partiti, si è rivelata decisiva la promessa dell’attuale capo del governo spagnolo di promuovere in Parlamento una legge di amnistia per i promotori del referendum sull’indipendenza della Catalogna nel 2017. La legge, che nei migliori auspici sarà presentata alle Cortes Generales nelle prossime settimane, dovrebbe consentire la cancellazione delle condanne per i promotori del referendum e dei processi in corso a loro carico.
Sanchez paga un prezzo politico altissimo. La necessità di evitare il ritorno alle urne (la data ultima per la formazione di una maggioranza è fissata al 27 novembre) e di impedire l’ascesa al governo del centrodestra alleato con gli estremisti di Vox, ha convinto il premier spagnolo a scendere a patti con il fronte indipendentista catalano. Queste concessioni, se da un lato infliggono una temporanea sconfitta al fronte sovranista, in ascesa in tutta Europa, dall’altro concedono margini di manovra sempre più larghi agli indipendentisti (non solo catalani) e alle loro rivendicazioni contrarie all’unità della Spagna.
Secondo la destra, Sanchez avrebbe barattato la propria sopravvivenza politica con la tenuta dell’architettura costituzionale del Paese. Un’accusa che si traduce, da settimane, nell’organizzazione di proteste: spicca, su tutte, quella organizzata martedì scorso davanti alla sede del Partito Socialista a Madrid, conclusasi con un saldo di 39 feriti tra poliziotti e manifestanti. Una protesta che il quotidiano La Vanguardia non ha esitato a definire una “battaglia campale”.
Il clima politico in Spagna, nonostante l’apparente risoluzione dello stallo politico, è dunque incandescente. Alla divisione politica in (almeno) due blocchi emersa successivamente alle elezioni dello scorso 23 luglio, infatti, si uniscono oggi le proteste della destra contro l’accordo voluto da Sanchez. Un accordo che, se da un lato allontana la destra sovranista dal governo, dall’altro riporta la questione catalana prepotentemente al centro del dibattito politico.