Turchia. Salgono a 8 i curdi suicidi nelle carceri per protestare contro il regime duro e l’isolamento di Ocalan

di Gianni Sartori

Sono già 8 in meno di un mese i casi di suicidio di curdi, sette in prigione in Turchia ed uno autoimmolatosi in Germania. L’ultimo a suicidarsi, come gli altri contro l’isolamento a cui è sottoposto il leader del Pkk Ocalan, è stato ieri il 22enne Mahsun Pamay nel carcere speciale di tipo F di Elazig, nella regione turca dell’Anatolia Orientale.
Il 17 marzo a togliersi la vita era stato Zulkuf Gezen, il quale si è impiccato nel carcere di Tekirdag, poi il 22 marzo in un ospedale tedesco è deceduto Ugur Sakar, che un mese prima si era dato fuoco per protesta a Krefeld, nella Renania Settentrionale – Vestfalia.
Rinchiusa a Gebze, in Turchia, Ayten Becet si è suicidata il 23 marzo. Il giorno successivo la medesima scelta è stata compiuta da Zehra Saglam in una prigione speciale della provincia di Erzurum, mentre Medya Cinar è morto il 25 marzo, sempre in un carcere speciale.
Yonka Akici era in sciopero della fame dal 1 marzo nella prigione di Sakram, aveva deciso di porre fine alla sua vita il 29 marzo, ma era poi sopravvissuta alle ferite fino al 1 aprile. Il giorno dopo, il 2 aprile, è stata la volta di Sirac Yuksek, militante del PKK rinchiuso nel carcere di Osmaniye.
I corpi dei prigionieri che scelgono di suicidarsi per protestare contro l’isolamento di Ocalan e contro il duro regime carcerario a cui sono sottoposti non vengono restituiti ai familiari, ma sono trattenuti dalle autorità per essere poi sepolti dalla polizia. Spesso di notte, clandestinamente, impedendo a parenti, amici e militanti di onorarli. Solo a pochissimi membri della famiglia talvolta si consente di assistere.
Esponenti politici, associazioni e movimenti curdi (compreso il PKK) hanno ripetutamente chiesto per non dire ordinato ai militanti in carcere di “finirla con queste azioni individuali”. Proseguono invece nello sciopero della fame in quella che è una lotta collettiva circa settemila prigionieri e altre decine di militanti e simpatizzanti. Anche in Europa, come a Strasburgo.
E’ comunque facile intuire quale sia ormai la rabbia, se non la disperazione, dei prigionieri curdi che evidentemente percepiscono la sostanziale indifferenza delle istituzioni internazionali nei confronti delle loro sofferenze.