Ucraina. Summit Normandia 4

di Dario Rivolta * –

Chi più di chiunque altro sembra aver espresso la maggiore soddisfazione è stato il presidente di turno all’OSCE, il ministro slovacco per gli Affari esteri ed europei Miroslav Laycak. Appena concluso l’incontro, si è precipitato a dichiarare tutta la sua gioia per “ i nuovi passi… che includono un impegno al cessate-il-fuoco, lo sminamento, il facilitato scambio di detenuti, la creazione di nuove aree di disimpegno lungo la linea di contatto e l’apertura di nuovi punti di entrata e uscita tra le aree contese e la Russia”.
Parliamo evidentemente dell’incontro detto “Normandia 4”, che aveva come obiettivo una soluzione per la fine alla guerra civile in Ucraina. Tenutosi a Parigi, vi hanno partecipato i rappresentanti di Germania, Francia, Ucraina e Russia.
In realtà, di là dalle ottimistiche dichiarazioni rilasciate da molti politici e altrettanti osservatori, la nota più positiva uscita da quell’incontro è che per la prima volta dopo tre anni si sono re-incontrati i presidenti di Russia e Ucraina. Per l’ucraino Zelensky era la prima volta in assoluto e la pace nel Donbass era stato uno dei suoi maggiori impegni elettorali. Va comunque notato che, almeno davanti alle telecamere, Putin e Zelensky non si sono stretti la mano. Non c’è da stupirsi, perché l’ucraino sa bene che per non scontentare i locali nazionalisti e i russo-fobici stranieri non poteva permettersi di mostrare un atteggiamento troppo amichevole con lo “zar” russo.
L’accordo raggiunto prevede che entro la fine dell’anno si eliminino le armi pesanti da tutte le aree di contatto per un certo numero di chilometri, si completi lo scambio dei prigionieri (che finora aveva riguardato soltanto 35 persone per parte) e ci si re-incontri a Berlino tra quattro mesi per tutti gli altri punti rimasti in sospeso.
Non si può negare che si sia trattato di un progresso poiché, dopo gli incontri detti “Minsk II”, nessun incontro aveva più avuto luogo. Va ricordato che nei cinque anni di guerra i morti sono già stati 13mila, innumerevoli i feriti ed enormi le distruzioni di edifici pubblici e privati e delle infrastrutture. Restano tuttavia aperti i due punti probabilmente più importanti e cioè l’accordo per il transito del gas e la modifica costituzionale ucraina, quella che dovrebbe stabilire l’autonomia delle regioni di Donetsk e Lugansk.
Per quanto riguarda il gas, l’accordo tuttora in vigore tra i due Paesi scadrà il 31 dicembre di quest’anno e, considerato anche il fatto che l’Ucraina ha un enorme debito arretrato con Gazprom, se non si raggiungerà urgentemente un’intesa, l’erogazione di gas dalla Russia dovrebbe essere interrotta. Il problema maggiore riguarda la modifica della Costituzione. Essa avrebbe già dovuto avvenire a seguito degli accordi di Minsk ma le frange nazionaliste estremiste e lo stesso ex presidente Petro Poroshenko non avevano mai voluto nemmeno iniziare la procedura.
Volodymyr Zelensky sembra avere veramente una piena volontà di porre fine al conflitto e probabilmente non sarebbe contrario a consentire che le due provincie ribelli possano godere di uno statuto di autonomia. La difficoltà sta nel come riuscirà a farlo digerire a quelle minoranze che, davanti alla prospettiva di un nuovo accordo, già alcune settimane orsono avevano manifestato violentemente per le strade della capitale.
Un ruolo molto importante per un positivo seguito all’accordo raggiunto lo avranno gli equilibri politici dentro l’Europa e dentro gli Stati Uniti. Non ci si deve nascondere che tutto era iniziato proprio per volontà di Washington, dei polacchi e dei baltici. Furono polacchi e baltici a premere che fosse creata la East European Partnership, cioè quel meccanismo che avrebbe dovuto portare molti Paesi dell’est Europa sempre più lontani da Mosca e più vicini a Bruxelles e al mondo occidentale. Furono sempre loro ad appoggiare le proteste in piazza Maidan che finirono con il colpo di stato che destituì il governo (a suo tempo regolarmente eletto) di Viktor Yanukovich. E furono i falchi americani, con il loro progetto di “contenere” e “accerchiare” la Russia, a incoraggiare, organizzare e perfino finanziare quei rivoltosi.
La Russia non ha oggi alcun interesse né a certificare una divisione dell’Ucraina, né a che la guerra continui indefinitamente. Non può comunque certo accettare che quel Paese si trovi ad ospitare altri basi della Nato. Solo un’organizzazione semi-federale dello Stato consentirebbe contemporaneamente a Kiev di mantenere una propria indipendenza e alle regioni dell’est di potersi opporre a una eventuale “scivolata” verso la Nato. Una Ucraina veramente neutrale darebbe a tutti la garanzia che l’indipendenza rimanga tale e non si trasformi in una sudditanza all’uno o all’altro, con le tensioni che ne conseguirebbero.
Per quanto riguarda noi europei, sarebbe l’ora di chiederci perché dovremmo continuare a subire le fobie polacche o le volontà americane pagando di tasca nostra i costi, culturali, sociali e soprattutto economici, che la situazione di continuo conflitto con la Russia ci sta causando. Con tutta franchezza e con la sincera simpatia che possiamo provare per i cittadini ucraini, tutti noi sappiamo benissimo che quel Paese non sarà mai parte dell’Unione Europea: non conviene a noi e nemmeno all’economia ucraina fortemente legata a quella russa per motivi storici.
Sarebbe forse ora che Bruxelles e i nostri governi cerchino di essere meno ipocriti e dicano pubblicamente che, se fossimo costretti a scegliere definitivamente tra Russia e Ucraina, noi preferiremmo senza tentennamenti la prima. Chi non fosse d’accordo si sforzi di trovare una qualunque ragione razionale sul perché una diversa opzione sarebbe la migliore.

Guerra del Donbass. Cimitero di Savyansk. (Foto: Massimiliano Lettieri).

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.