Isis. Quell’esperimento di Usa, Qatar e Turchia finito davvero male…

di Enrico Oliari – 

isis flagSempre più indizi confermano la tesi secondi non è ne’ complottismo, ne’ dietrologia, ne’ fantapolitica affermare che l’Isis è stato ideato da un’azione comune di alcuni paesi occidentali, da Turchia e dalle monarchie del Golfo per combattere il regime alawita di Bashar al-Assad senza sporcarsi le mani.
Sta di fatto che nel teatro siriano sono in corso non una ma più guerre, a cominciare da quella atavica fra sunniti e sciiti (gli alawiti appartengono ad una branca dello sciismo), poi quella fra Nato e Russia, quella fra opposizioni e governo siriano, quella fra i curdi autonomisti e il governo centrale, quella fra Iran e paesi del Golfo per contendersi le zone di influenza nel Medio Oriente.
Non è un caso infatti se fin dall’inizio del conflitto sono dati presenti in Siria circa 4mila Hezbollah libanesi, sciiti, e numerosi “osservatori” iraniani di cui Notizie Geopolitiche ha dato notizia in più occasioni (1); curiosa la circostanza di un autobus di 48 militari fra i quali il generale Abedin Khoram sequestrato il 4 agosto 2012, per cui Teheran si è subito precipitata ad affermare che si sarebbe trattato di una comitiva di “pellegrini” che, a quanto sembra, si erano recati da quelle parti, sotto le bombe, per una gita spirituale.
Passando alla guerra fra Usa e Russia giocata sul terreno siriano, va detto che, dopo i conflitti di’Afghanistan e Iraq, gli Stati Uniti hanno basi militari in tutti i paesi che vanno dal Marocco al Kirghizistan, in quella che è una linea orizzontale che presenta solo due interruzioni, l’Iran e, appunto la Siria. Immaginando, invece, una linea verticale, si nota che la Russia possiede, oltre alle basi nel proprio territorio, quella di Sebastopoli in Crimea (penisola non a caso annessa da Mosca), quella in costruzione ad Alessandria d’Egitto, conseguente all’errore politico dell’amministrazione Obama di aver stoppato gli aiuti militari al Cairo dopo il golpe militare del 3 luglio 2013, e quella di Tartus, in Siria, fornita di truppe, mezzi navali, sottomarini nucleari, aerei e basi lanciamissili.
In più occasioni è stata appurata la fornitura di armi della Russia ad al-Assad come l’appoggio politico del presidente Putin, proprio per non perdere la propria influenza e quindi la propria base in Siria (2).
Il tema di chi ha “inventato” l’Isis richiede alcune considerazioni, in primis quella che vede un esperimento finito male, una strategia che è sfuggita di mano proprio perché ne sono stati sottovalutati gli attori, ovvero il desiderio insito di un certo radicalismo islamico di far rinascere un califfato regolato dalla Sharia. La cosa è stata ben descritta dal ministro degli Esteri iraniano, Mohamed Javad Zarif, all’Assemblea delle Nazioni Unite il 18 settembre 2014, quando ha definito l’Isis “un Frankestein tornato per divorare i suoi creatori” (3).
Colpisce l’affermazione del pluridecorato generale francese Vincent Desportes, docente presso la facoltà di Scienze politiche di Parigi, il quale fa affermato pochi giorni fa: “Chi è il dottor Frankenstein che ha creato questo mostro? Diciamolo chiaramente, perché ciò comporta delle conseguenze: sono gli Stati Uniti. Per interessi politici a breve termine, altri soggetti – alcuni dei quali appaiono come amici dell’Occidente − hanno contribuito, per compiacenza o per calcolata volontà, a questa creazione e al suo rafforzamento, ma le responsabilità principali sono degli Stati Uniti. Questo movimento, con la fortissima capacità di attrarre e diffondere violenza, è in espansione. È potente, anche se è caratterizzato da punti profondamente vulnerabili. È potente, ma sarà distrutto. Questo è certo. Non ha altro scopo che quello di scomparire. Isis delenda est: certamente! Siamo profondamente solidali, ma non siamo in alcun modo responsabili. I nostri interessi esistono, ma sono indiretti. Da quelle parti le nostre capacità sono limitate e irrisorie, rispetto agli Stati Uniti, e la nostra influenza strategica è estremamente limitata” (4).
Anche l’ex Segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha ammesso in modo sorprendente che l’Isis “è stato un fallimento. Abbiamo fallito nel voler mettere in piedi una guerriglia anti al-Assad credibile. La forza di opposizione che stavamo creando era composta da islamisti, laici e da gente nel mezzo: l’incapacità di fare ha lasciato un grande vuoto che i jihadisti hanno ormai occupato. Spesso sono stati armati in modo indiscriminato da altre forze e noi non abbiamo fatto nulla per evitarlo” (5).
Il bancomat dell’Isis è invece stato soprattutto (ma non solo) il Qatar. La notizia (neanche tanto nuova) è sfuggita lo scorso 25 agosto al ministro dello Sviluppo tedesco Gerd Mueller, subito ripreso da una furiosa Angela Merkel, il quale è intervenuto sul canale televisivo pubblico ZDF affermando: “Un suggerimento: chi finanzia queste truppe dell’Isil? Il Qatar” (6). Mueller aveva così completato la battuta del collega vicecancelliere e ministro dell’Economia Sigmar Gabriel, il quale era intervenuto in un dibattito ponendosi la domanda su chi finanzia il gruppo qaedista, cioè uno Stato, ma senza dare nessuna indicazione.
Il Qatar non ha mai fatto mistero del suo sostegno economico e politico a gruppi di ogni risma nel mondo arabo, in una guerra, come nel caso dell’Egitto e dei Fratelli Musulmani, in atto con l’Arabia Saudita. Ma anche in Siria, dove c’è chi appoggia i qaedisti di al-Nusra e chi l’Isis, gruppi che in più occasioni si sono scontrati arrivando a passare per le armi i prigionieri. Un conflitto causato in atto per assicurarsi definitivamente il ruolo di interlocutore con l’Occidente, con entrambi i contendenti che risultano essere grandi investitori in Europa e negli Stati Uniti. Ed una situazione tesissima, al punto che in occasione di una conferenza della Lega Araba incentrata sulla questione siriana è stata tolta la luce alle sale per far smettere di litigare i rappresentanti dei due paesi.
Il ruolo della Turchia è invece stato soprattutto di carattere logistico, oltre che per la vendita di armi e il transito del petrolio. Fin dall’inizio del conflitto Ankara ha preteso, invano, una zona cuscinetto di 20 chilometri nel territorio siriano, richiesta riesumata fra le richieste di intervenire via terra per difendere dall’attacco dell’Isis la curdo-siriana Kobane.
La Turchia è stata la porta principale per far arrivare in Siria decine di migliaia di quelli che oggi vengono chiamati “foraign fighter”, cioè combattenti stranieri, provenienti dalla via nordafricana e da quella europea.
Lo aveva confermato a Notizie Geopolitiche in un’intervista del febbraio 2012 il numero uno di Ansar al-Sharia in Tunisia, Hassan Ben Brik. Un abstract dell’intervista:
– Parliamo di Siria: siete più volte stati accusati di inviare i giovani a combattere con i gruppi jihadisti contro al-Assad…
“No, le cose non stanno proprio così. Noi abbiamo sempre spiegato ai nostri che come gruppo tunisino non abbiamo a che fare direttamente con la jihad, che c’è già tanto da fare in Tunisia per affermare le nostre idee. Tuttavia sono stati i canali siriani, ovviamente quelli dell’opposizione al regime, a chiedere l’aiuto dei giovani, anche attraverso i media, per via delle stragi compiute dall’esercito regolare, in cui sono morti migliaia di donne e bambini: noi non mandiamo nessuno, ma non tratteniamo nessuno, perché sarebbe come ostacolare lo spirito di fratellanza che li spinge a partire”.
– Si è parlato, tuttavia, di campi di addestramento di Ansar al-Sharia in Libia. Lo conferma?
“In Libia c’è il caos, organizzare campi di addestramento da quelle parti sarebbe impossibile per chiunque. Chi va in Siria passa per la Turchia, viene addestrato una volta entrato in Siria, da lì”.
– Non mi dirà che un giovane parte dalla Tunisia ed arriva in Turchia e poi in Siria con le proprie forze e con i propri risparmi…
“Esiste un circuito, un’organizzazione, non lo nego. Consideri che lo stesso Ghannouchi, il leader di Ennahda, aveva dichiarato in occasione del Congresso dell’Unione dei giuristi musulmani che la strada per la Siria è aperta e che per chi può è un dovere andare a combattere” (7).

Per quanto oggi la via turca sia stata chiusa su pressione dell’Occidente, diverse informazioni, riprese anche dalla Bbc, danno ancora oggi jihadisti feriti in Siria e in Iraq curati negli ospedali civili turchi (8).
L’Isis appare quindi come uno strumento degli Usa sfuggito ad ogni controllo, un esperimento dell’amministrazione Obama finito davvero male, pensato per dare manforte alle opposizioni siriane nel quadro di una primavera araba fuori tempo massimo. Dove a pagarne il prezzo sono le molte, troppe, vittime innocenti. Anche occidentali.

1. Cfr “Siria. Il leader di Hezbollah Qassem scatenato contro “il grande Satana” e Israele” – Notizie Geopolitiche, 16 set 2013e “France says 3,000-4,000 Hezbollah are fighting in Syria” – Reuters, 29 mag 2013;

2. Cfr. “La Russia vende armi a Damasco, “precedenti impegni assunti dall’Unione Sovietica”” – Notizie Geopolitiche, 5 nov 2012 e “Ship ‘carrying attack helicopters to Syria’ halted off Scotland heads for Russia” – Bbc, 19 giu 2012 e  وزير خارجية روسيا لـلاهرام‏:‏الشعب المصري قال كلمته‏..‏ وموسكو تحترم خياراته – al-Ahram;

3. Cfr. “Iraq: Zarif, Is non si sconfigge con raid aerei” – Adnkronos, 18 set 2014;

4. Cfr. “La denuncia choc di un generale francese: “Isis creato dagli Usa”” – Il Giornale, 5 feb 2015;

5. Cfr. “Hillary Clinton: ‘Failure’ to Help Syrian Rebels Led to the Rise of ISIS” – The Atlantic, 10 ago 2014;

6. Cfr. “Iraq, l’islamismo da esportazione del Qatar. Per il Califfo un tesoro di due miliardi” – La Stampa, 21 ago 2014;

7. Cfr. “Noi in Tunisia per la Legge coranica. E in Siria contro al-Assad. Intervista ad Hassan Ben Brik, leader di Ansar al-Sharia” – Notizie Geopolitiche, 8 feb 2014;

8. Cfr. “Research Paper: ISIS-Turkey List” – Huffingtonpost, 6 feb 2015 e  “Turkey opposition accuses govt of protecting ISIS militants” – France24, 17 giu 2014;