Aiuti extra-Ue, propaganda e shift of power

di Paolo Pellegrini –

In un momento in cui la tenuta stessa dell’Unione Europea è messa a repentaglio dalla crisi sanitaria derivante dal coronavirus e dalle conseguenze economiche della stessa, la propaganda abbinata agli aiuti forniti da alcuni stati terzi all’Italia e fortemente rilanciata da certi movimenti politici, mezzi di comunicazione e social media rappresenta qualcosa di più di un elemento accessorio.
Non stupisce la cosa in sé, perché da sempre ogni iniziativa di aiuto internazionale, da qualunque paese provenga e a chiunque diretta, comprende anche un elemento propagandistico più o meno accentuato di auto rappresentazione politica da parte di chi se ne fa promotore. Elemento che tende naturalmente ad accentuarsi tanto più lo stato promotore tende verso l’autoritarismo e l’uso politico dell’informazione. Quello che fa la differenza sono le reazioni. La sensazione è che in Italia siano state enfatizzate le pur reali indecisioni e gli egoismi europei, peraltro principalmente degli stati membri (vedi rinvio di ogni decisione in materia di euro bond in sede di Consiglio del 26 marzo), facendo passare in secondo piano l’insieme di azioni e aiuti concreti sia sul piano sanitario che finanziario messi in campo e dalle Istituzioni Ue e dai singoli paesi (37 miliardi di euro stanziati per la lotta al virus e a sostegno dell’economia, attivazione di sistemi di produzione e distribuzione congiunte di equipaggiamento medico, 8 miliardi per il MES, quantitative easing della BCE, procedura d’infrazione alla Germania per aver tentato di bloccare l’esportazione di mascherine sanitarie, sospensione del Patto di stabilità e delle regole sugli aiuti di stato, mega bando d’appalto congiunto per l’acquisto di materiale, ecc.), aiuti non accompagnati peraltro da bandiere dell’Ue né da cameramen e fotografi d’apparato. Il contrario è invece avvenuto con gli aiuti inviati da paesi extra-Ue. Tra questi ci sono paesi, va detto, per i quali la solidarietà internazionale rappresenta da sempre un elemento importante delle relazioni estere ed anche una manifestazione del carattere generoso del proprio popolo, si pensi a Cuba. O autentici esempi di riconoscenza, evidentemente senza alcun retropensiero geopolitico, come da parte dell’Albania. E la stessa Cina è stata del resto aiutata dall’Europa durante le prime fasi dell’epidemia con l’invio di 50 tonnellate di materiale protettivo (sempre senza vessilli e telecamere, of course).
Comunque sia gli aiuti sono importanti e benvenuti, come è ovvio. Ma almeno due considerazioni si impongono.
Innanzitutto, alcuni partiti sembrano sollecitare un’attenzione particolare da parte dei cittadini verso presunte dimostrazioni di maggiore efficienza oltre che generosità, rispetto alle democrazie europee, da parte di regimi autoritari (Russia e Cina). Più che retroscena politici, tali atteggiamenti dimostrano una superficiale quanto pervicace tendenza alla simpatia per l’autoritarismo come alternativa semplificante al funzionamento complesso degli istituti liberal-democratici di tipo europeo.
Inoltre non è chiaro se i dirigenti di alcuni movimenti politici con responsabilità di governo abbiano piena consapevolezza del fatto che l’epoca storica che stiamo vivendo è quella dello shift of power da quello che noi chiamiamo Occidente all’Asia. Tralasciando la Russia, che è economicamente molto meno forte di quanto potrebbe apparire a qualcuno e che non può aspirare al ruolo di superpotenza sebbene possa certamente contribuire a creare divisione in seno all’europa, è la Cina che ha da tempo l’Italia nel mirino, vista come alleato più o meno consapevole nel suo disegno di espansione morbida, legittima dal punto di vista di Pechino, in direzione europea. Il nostro paese è stato infatti l’unico dei G7 ad aver aderito al complesso progetto cinese di proiezione commerciale e politica mondiale del Bri (Belt and Road Initiative, da noi ribattezzato poeticamente “Nuove vie della seta”), con qualche apprensione da parte statunitense e dei nostri partner europei. Non solo, si pensi al fatto che Huawei (bannata dagli USA per sospetti e timori di spionaggio) ed altre aziende cinesi sono in campo per lo sviluppo e l’implementazione della rete 5G in Italia, materia quanto mai sensibile sia per il futuro industriale e commerciale dei sistemi di Artifical Intelligence che per questioni legate alla sicurezza nazionale. In generale, il rilancio di esportazioni e investimenti è essenziale per Pechino in questo momento e l’Europa in generale e l’Italia in particolare costituiscono un terreno di gioco molto importante.
Altrettanto importante è dunque che i decisori politici italiani siano ben consapevoli degli scenari e delle dinamiche globali all’interno delle quali si trovano ad agire. Al fine di comprendere le condizioni geopolitiche date e per essere in grado di decidere consapevolmente verso quale direzione indirizzare la politica estera del paese, tenendo conto soprattutto delle possibilità (o dell’impossibilità) reali di giocare la propria partita al di fuori o a margine dell’Unione europea. Riconoscere realisticamente la potenza economica della Cina, la sua naturale (in questo momento storico) progressione all’espansione esterna del proprio ruolo di global player industriale, commerciale e finanziario (dunque politico) e sfruttarne consapevolmente e intelligentemente la forza e la tendenza egemonica in via di sviluppo è una cosa. Altra cosa è essere attori passivi o persino incoscienti delle globali dinamiche storiche, economiche, ecc. e dei vincoli che esse pongono all’azione politica e quindi rinunziare a basare la stessa sull’interpretazione analitica di fatti e dati.