Anche negli Usa l’informazione ha perso l’obiettività (e la serietà)

di Dario Rivolta * –

Che il mondo degli intellettuali e dei giornalisti italiani non sia composto da una maggioranza di “cuor di leone” è cosa risaputa. Fu evidente durante il fascismo, ma anche nell’era della Repubblica moltissimi affidano lo sviluppo della propria carriera al politico volta per volta più potente, badando bene di essere in linea con il pensiero dominante. Non è un caso che, per molti anni, i “furbi” richiedevano (e ottenevano) la loro “patente di legittimità democratica” soltanto in via delle Botteghe Oscure.
Ciò che invece oggi ci stupisce è che anche il mondo del giornalismo anglosassone si sia adagiato su di un conformismo totalmente acritico. Fino a non molti anni fa, le testate americane e britanniche erano considerate la fonte della massima obiettività possibile e la BBC o il New York Times e il Washington Post erano indicati quali maestri mondiali di giornalismo. M’impressionò, dopo un’intervista con un giornalista americano, di essere richiamato ben due volte da due persone diverse che volevano verificare con me, prima della pubblicazione, l’esattezza delle cifre che avevo menzionato e quello che sarebbe scritto nel virgolettato.
Che le cose stessero cambiando e che anche la democrazia americana stesse inchinandosi al conformismo italico mi diventò evidente poco prima dell’attacco americano all’Iraq, nel 2003. Nell’autunno dell’anno precedente feci parte di una delegazione del Consiglio d’Europa in visita a Tampa, in Florida, ove aveva sede il Centro Strategico Militare per il Medio Oriente. Durante gli incontri ufficiali ci furono presentate tutte le motivazioni che avrebbero giustificato la guerra contro Saddam Hussein e non fu risparmiata nemmeno una filippica sul suo possedere le fantomatiche (inesistenti, come poi fu dimostrato) armi di distruzione di massa. Già allora, pur non apprezzando, in alcun modo, quel dittatore, nutrivo forti dubbi sull’opportunità strategica di una tale scelta e scoprii, in una “pausa sigaretta” con i pochi ufficiali americani ancora “viziosi”, che i miei dubbi erano ampiamente condivisi, ma solo “in privato”. Nonostante ci trovassimo d’accordo sulle conseguenze negative per la stabilità dell’intera area dopo la sicura caduta del satrapo iracheno, durante gli incontri formali nessuna voce si era alzata in dissonanza dalla versione ufficiale. Lo stesso silenzio lo si riscontrava sulla stampa americana poiché nessun giornale osava mettere in dubbio l’opportunità di quella guerra. Mi fu spiegato in seguito da un alto funzionario dell’Amministrazione che, dopo lo shock dell’11 Settembre, qualunque affermazione o ragione contrarie alla guerra sarebbero state viste come “antipatriottiche”: bisognava quindi “adeguarsi”.
Da allora, per chi segue la stampa anglosassone è diventato scontato che su certi temi o contro le tendenze dominanti gli spazi non in “sintonia” si sono ridotti fino quasi a scomparire. La dimostrazione più lampante, oggi, è la campagna di tutti i maggiori organi d’informazione contro la Russia e contro il presidente Trump. Il “verbo” dominante, nonostante l’Unione Sovietica non esista più e la guerra fredda sia formalmente terminata, ha sentenziato che la Russia continua a essere il “nemico”. I mali del mondo, la sua instabilità, i rischi di guerra sono tutta colpa di Mosca e in particolare del “despota”Putin. Se ci si vuole sbizzarrire, si può, al massimo, invocare le responsabilità dell’Iran o la “pazzia” dei coreani del nord. Nessuno sembra interessato a ricordare il pur noto supporto dato dai sauditi ai vari gruppi terroristi e le connivenze, anche economiche, tra la famiglia del turco Erdogan e l‘Isis.
Anche su Donald Trump la stampa americana maggiore è concorde: inadatto, incompetente, bugiardo, pericoloso, traditore. E’ naturale: un certo establishment non ha digerito la sua elezione a presidente e non ha alcuna importanza che, con il sistema elettorale vigente, le elezioni abbiano consacrato lui anziché la prediletta Hillary Clinton. Agli occhi di noi europei suona ridicola l’insistenza con cui lo si accusa di un presunto rapporto segreto con i poteri russi, soprattutto dopo che sin dalla campagna elettorale il tycoon aveva dichiarato in modo chiaro di voler ristabilire con Mosca rapporti costruttivi e di aver identificato, invece, nella Cina il vero pericolo per la supremazia politica ed economica americana nel mondo. La pressione su di lui mira certamente a un possibile impeachment e la cosa è talmente evidente da aver obbligato Trump a far di tutto per dimostrare di non essere meno anti-russo della stampa che lo accusa. L’unica volta in cui (perfino dal New York Times) anche le dichiarazioni della Casa Bianca sono state accettate come credibili è stata quando il portavoce del Presidente ha attribuito all’esercito di Assad la responsabilità dell’uso di gas venefico contro la popolazione civile.
Purtroppo, anche in questa circostanza i più importanti mezzi d’informazione hanno dimostrato di non essere più i “guardiani della verità”. Vera o falsa che sia la responsabilità di Damasco, il fatto che Trump abbia deciso, se non altro per mostrare la sua differenza da Obama, di lanciare un attacco missilistico dimostrativo è politicamente spiegabile. Anche la ragione, sempre politica, di voler attribuire l’uso dei gas al regime siriano è logica e comprensibile. Tuttavia, da ingenuo ex-ammiratore della libertà di stampa americana mi aspettavo che qualche giornale importante, analizzando i fatti, volesse considerare anche gli indizi che portavano a pensare altrimenti. Sono rimasto deluso.
Mi è stato necessario andare a cercare sui siti più “off”, quelli che non fanno parte del mondo “importante” per trovare qualche voce, non dico necessariamente critica, ma almeno dubbiosa. Ho scoperto così che perfino la CIA fosse tutt’altro che convinta che l’uso del gas dovesse essere attribuito ad Assad e che il direttore della stessa CIA, Michael Pompeo, il 6 Aprile avrebbe personalmente informato Trump della probabile non responsabilità del governo siriano. Nessuna testata ha citato, e tanto meno spiegato il perché, il capo della CIA, contrariamente alle consuetudini, fosse stato escluso dalla riunione in cui Trump avrebbe deciso per il lancio dei missili Tomahawk. Quest’assenza avrebbe dovuto attirare attenzione e commenti da ogni serio giornalista perché, perfino quando Colin Powell presentò nel 2003 le false informazioni in merito al possesso iracheno di armi di distruzione di massa, l’allora direttore CIA George Tenet era al suo fianco proprio per rendere credibili quelle falsità. E’ evidente che Pompeo fu escluso perché latore d’informazioni e opinioni differenti.
Sempre attingendo qui e là si scopre qualcosa d’altro che le grandi testate hanno taciuto, pur essendo difficile credere che non sapessero. Innanzitutto la notizia che fossero stati aerei del regime a sganciare il gas fu fornita dagli stessi ribelli parte in causa che, guarda caso, erano il gruppo vicino ad Al Qaeda. Poi, come ha scritto il giornalista investigativo indipendente Seymore Hersch, un poliziotto e politici turchi dell’opposizione hanno dichiarato che pochi mesi prima un certo quantitativo di gas (Sarin ?) era stato fornito dall’esercito turco ai ribelli. Inoltre, la Casa Bianca ha sostenuto di aver rilevato l’aereo che ha sganciato il gas attraverso i propri satelliti spia ma che non avrebbe mostrato il video per “proteggere le fonti”. Di quali fonti segrete si può parlare, se è a tutti già palese che gli USA possano contare su una perfetta rete di satelliti in grado di monitorare tutto il globo?
Infine, il giornalista investigativo Robert Parry scrive (su di un sito internet USA di controinformazione) che analisti americani da lui interpellati avevano in precedenza escluso di aver mai potuto identificare un aereo sopra l’area della provincia di Idlib all’ora presunta del lancio. Gli stessi analisti hanno invece dichiarato di avere notato, in quell’area e a quell’ora, un drone che potrebbe averlo fatto. Sfortunatamente, dopo aver faticosamente ricostruito il tracciato di quel velivolo, sembrerebbe fosse partito dalla Giordania ed esattamente da una base saudita-israeliana che opera a supporto dei ribelli siriani. La stessa fonte trovava l’ipotesi realistica per la semplice ragione che l’uso di quel gas contro civili poteva servire a creare un incidente tale da obbligare l’amministrazione Trump a invertire l’annuncio fatto alla fine di Marzo in cui si faceva capire che la rimozione di Assad non era più necessaria.
Non sarò certo io in grado di confermare o smentire l’una o l’altra, o l’altra ancora, versione ma credo che, se un giornale volesse mostrarsi veramente indipendente e non organo di propaganda, davanti a più ipotesi equipollenti il minimo è di menzionarle tutte. Ora, la vulgata accettata sia dai semplici fruitori di notizie che da molti Governi è che “senza dubbio” sia stato al-Assad ad autorizzare l’uso del gas, magari con la complicità dei comandi russi. Stupisce, allora, che sia passata sotto silenzio e per nulla considerata la richiesta di Mosca e di Teheran di una commissione d’indagine neutra e indipendente che faccia luce sulle vere responsabilità’. Forse è perché il possibile risultato non farebbe comodo né ai Governi alleati né a quei giornali che, troppo precipitosamente, avevano comunicato la “verità”.
Il risultato, comunque, resta che l’attendibilità di quelle che, una volta, furono le fonti di informazioni cui guardare come esempio è totalmente svanita.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.