Angola. A lavoro per il dopo dos Santos

di Valentino De Bernardis – 

dos santos joseSiamo di fronte ad un passaggio epocale in Angola? Tutto lascia presupporre per una risposta affermativa, ma nella totalità c’è qualche elemento poco chiaro che potrebbe realtà far pensare l’esatto contrario. Il passaggio storico è rappresentato dal possibile cambio alla guida del paese, dopo che la scorsa estate il presidente Jose Eduardo dos Santos aveva annunciato la volontà a non voler ricandidarsi alla successione di se stesso alle prossime elezioni del 2017. Intenzioni riconfermate ufficialmente venerdì 11 marzo, durante la sessione ordinaria del Movimento Popolare di Liberazione dell’Angola – MPLA (in preparazione del congresso di partito del prossimo agosto dove è prevista l’elezione del candidato ufficiale alla presidenza), dallo stesso dos Santos, che ha sottolineato l’intenzione di ritirarsi dalla vita politica nel 2018.
Un lungo percorso di transizione, necessario dopo quasi quarant’anni di potere, aprendo la porta ad un ventaglio di scenari su cui dover ragionare per tempo, sopratutto alla luce della nuova Costituzione del 2010, che ha abolito l’elezione diretta della carica presidenziale, rimpiazzandola con una elezione indiretta, in cui il leader del partito uscito vincitore dalle urne è automaticamente eletto presidente della repubblica e capo dell’esecutivo.
Il successore in linea diretta dovrebbe essere l’attuale vice presidente Manuel Vicente. Già di per sé l’assegnazione della vicepresidenza è una chiara indicazione alla successione della carica presidenziale, e tali sono state le speculazione politiche che hanno accompagnato la nomina di Vicente nel settembre 2012, nonostante i pareri negativi degli esponenti più anziani del MPLA. Supposizioni che hanno trovato consistenza sempre maggiore libertà di movimento concessa a Vicente durante l’ultimo anno, come ad esempio durante il discorso sullo stato dell’Angola del 15 ottobre in occasione della riapertura dei lavori parlamentari in vece di dos Santos.
A rendere più aleatoria la successione teleguidata, le indiscrezioni di stampa di inizio marzo, che hanno fatto cadere il nome del vicepresidente al centro di indagini dii corruzione condotte dalla magistratura portoghese, quando questi era a capo del gruppo petrolifero nazionale Sonangol. Indiscrezioni però non confermate e rigettate al mittente dal diretto interessato. In caso di sviluppi negativi della vicenda si lavora però a scenari alternativi che vedono la presenza di altri nomi forse più facilmente spendibili in caso di difficoltà, uno su tutti quello del figlio dell’attuale presidente, Jose Filomena de Sousa dos Santos. Un nome importante, su cui sono stati avviati sondaggi interni per ponderarne la fattibilità, ma che sembrerebbe essere una opzione poco praticabile data la contrarietà di loti membri di maggioranza ed opposizione a dare seguito ad una successione per diritto di sangue.
L’orizzonte temporale segnato dal presidente dos Santos del 2018, se da una parte rende chiaro l’impegno a guidare il processo transitorio, dall’altro fa nascere altri domande sul reale disegno politico che anima la decisione di dos Santos. Spostare l’addio alla vita politica un anno dopo le elezioni generali, può voler dire che qualora non si raggiunga un accordo ampiamente condiviso su un candidato unico al congresso di agosto, potrebbe far pesare la propria moral suasion e imporre il suo candidato. Magari giocando il ruolo di “consigliere speciale” del futuro presidente, oppure persino di procrastinare il suo addio a tempi più favorevoli. Basta ricorda che a Luanda già dal 2001 si parla di un possibile passaggio di poteri che non si è mai concretizzato.
Una possibile soluzione temporanea in caso di stallo è offerta indirettamente dalla Costituzione del 2010. Essa di fatti a modificato anche l’elezione del vicepresidente, specificando che la carica dovrà essere assegnata al secondo nome in lista del partito vincitore, quindi offrendo ad ogni partito la possibilità di trovare al suo interno una intesa al proprio interno.
L’attuale incertezza del quadro politico nazionale è strettamente correlata alla crisi economica e finanziaria che il paese attraversa a causa del crollo del prezzo del petrolio sui mercati internazionali, da cui l’economia nazionale è fortemente dipendente. Per un paese come l’Angola (terza economia dell’africa sub-sahariana e secondo esportatore di petrolio) la drastica riduzione degli idrocarburi si è tradotta in un crollo della crescita, in una diminuzione delle entrate fiscali e in un taglio delle spesa pubblica, come dimostrato dal bilancio 2016 approvato a gennaio dal parlamento.
Una gravità crescente che il 4 marzo ha spinto la società di rating Moody’s a mettere l’Angola sotto osservazione per una revisione del rating sovrano, come aveva fatto nel settembre 2015 l’agenzia Fitch prima del downgrade da BB- a B+.
Il peggioramento del quadro macroeconomico nazionale sta conducendo altresì ad una minore redistribuzione della ricchezza, specialmente verso alcuni centro di potere, necessari per mantenere la stabilità politico-sociale duratura. Questione non secondaria che avrà un peso rilevante nel congresso di Agosto, nel congedo dalla vita pubblica di dos Santos e dalla sua eredità politica.

Nella foto: il presidente dell’Angola Jose Eduardo dos Santos.

@debernardisv
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