Arabia Saudita. Cresce il deficit di bilancio a causa del crollo del prezzo del petrolio

di Viviana D’Onofrio

Il deficit di bilancio dell‘Arabia Saudita è salito a 98 miliardi di dollari, secondo quanto riportato oggi dalla BBC.
E‘ questa la conseguenza del crollo del prezzo del petrolio, che sta duramente colpendo le finanze del più grande esportatore di oro nero del mondo nonché membro più influente dell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries), il cartello die Paesi esportatori di petrolio.
Gli ultimi diciotto mesi hanno visto un significativo crollo del prezzo del greggio che, a causa di un forte eccesso di offerta cui ha fatto da contraltare una debolissima domanda, ha subito una flessione pari a circa il 68%.
Nel giugno 2014, il prezzo del petrolio toccava i 106 dollari a barile; un anno dopo, nel giugno 2015, precipitava a 40 dollari, per scendere ulteriormente nel corso dei mesi successivi ed oggi arrivare a 36,64 dollari.
Tra i fattori che hanno portato il prezzo del petrolio ai minimi da 11 anni vi è, senza dubbio, la notevole quantità di shale oil estratto dagli Stati Uniti ed immesso sul mercato.
Lo shale oil è il petrolio che viene ricavato attraverso il ricorso a nuove tecniche di trivellazione che consentono di frantumare l’argilla e di raccogliere anche il greggio conservato nei pori delle rocce impermeabili. Attraverso l’estrazione di shale oil, gli Usa si stanno progressivamente emancipando dalla dipendenza dalle importazioni petrolifere dall’estero.
Già qualche anno fa l’IEA, l’Agenzia internazionale per l’energia, stimava che, nel periodo compreso tra il 2012 ed il 2018, lo shale oil statunitense, insieme al petrolio estratto in Canada, avrebbe incrementato la produzione nordamericana di greggio di circa 4 milioni di barili al giorno.
Secondo l’Agenzia, le grandi quantità di shale oil statunitense avrebbero portato ad un incremento dell’offerta mondiale di petrolio e, conseguentemente, ad un calo dei prezzi dello stesso.
La produzione di shale oil statunitense ha comportato una riduzione della quota di mercato dei Paesi OPEC.
Il gruppo dei paesi OPEC rappresenta attualmente circa il 30% della produzione mondiale di petrolio. Rispetto alla quota di mercato controllata nel 1970, c’è stato un calo del 50%. L’Arabia Saudita, in particolare, ha perso terreno sia nei confronti dei concorrenti dell’OPEC che dei frackers.
Il problema del crollo del prezzo del greggio, cui si sta assistendo da mesi, è stato ulteriormente esacerbato dalla strategia adottata dal cartello OPEC, che non ha risposto alla grande quantità di shale oil statunitense con un taglio della produzione di petrolio, come ha fatto più volte in passato per contrastare il calo del prezzo dell’oro nero. L’Arabia Saudita, infatti, ha continuato a pompare petrolio ferocemente. Lo scopo della strategia del cartello OPEC è, ovviamente, quella di fare guerra agli Stati Uniti, sperando che il crollo dei prezzi del petrolio spinga questi ultimi fuori dal mercato, in modo tale da recuperare le quote di mercato perdute.
Secondo quanto sostenuto da alcuni analisti del settore petrolifero, l’estrazione dello shale oil ha bisogno di un prezzo che si aggiri intorno ai 70 dollari al barile per ottenere un guadagno. Il fracking, infatti, comporta costi superiori rispetto ad altre tecniche di estrazione. Il livello indicato dagli analisti è già stato superato al ribasso da molto tempo ma, a differenza di quanto ipotizzato dai sauditi, i colossi statunitensi hanno resistito al crollo dei prezzi.
Secondo il bilancio 2015 presentato da re Salman, la monarchia del Golfo ha un deficit di 367 miliardi di riyal (87 miliardi di dollari).
Il regno saudita ha dichiarato che i ricavi hanno raggiunto i 162 miliardi di dollari, in calo del 15% rispetto alle attese ufficiali, e che i proventi derivanti dal petrolio, che costituiscono il 77% del totale delle entrate per il 2015, sono in calo del 23% rispetto allo scorso anno.
La strategia di Riad sta costando parecchio al Paese mediorientale. Secondo quanto riportato da “il Sole 24 Ore”,  “Soltanto nel 2015 con la guerra dei prezzi sono stati bruciati dal Paese 150 miliardi di dollari”.
Il prezzo del petrolio è determinato dall’interazione degli sviluppi della domanda e dell’offerta.
La strategia saudita finalizzata a conservare l’egemonia sul mercato petrolifero mondiale si è inserita all’interno di uno scenario globale che vede la presenza di una forte offerta di petrolio, da un lato, e di una debole domanda, dovuta alla timida ripresa dell’economia mondiale.
Il World Oil Outlook pubblicato dall’OPEC ha previsto che il prezzo del petrolio è destinato a risalire, raggiungendo quota 70 dollari a barile nel 2020.
C’è chi, però, sostiene che il calo del prezzo del greggio non sia affatto transitorio e che quest‘ultimo resterà a livelli molto bassi ancora per molto tempo, anche a causa del ritorno dell’Iran sul mercato petrolifero mondiale, fattore che potrebbe contribuire a far salire l’offerta di greggio molto oltre la domanda.