Azerbaijan. La giustizia prevarrà anche per Khojaly

di Rashad Aslanov * –

Nel 2020 si è concluso uno dei cosiddetti “conflitti congelati” del mondo. La Seconda suerra del Garabagh è terminata con la liberazione dei territori che l’Armenia occupava illegalmente da quasi trent’anni e con l’attuazione delle quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
In un contesto di sconvolgimenti, nel corso del processo di disintegrazione dell’Unione Sovietica, l’Armenia ha approfittato delle circostanze per schierare le proprie forze armate con l’obiettivo di perpetrare una brutale pulizia etnica contro gli azeri e occupare illegalmente non solo la regione del Karabakh, ma anche altri sette distretti adiacenti dell’Azerbaigian. Come conseguenza dell’occupazione, circa il 10% della popolazione dell’Azerbaigian è diventata sfollata interna. Si è trattato di un’invasione sanguinosa e crudele, attraverso l’uso di metodi barbari. Ciò è dimostrato da numerosi documenti, inchieste e prove ufficiali.
E uno dei capitoli più tragici di questi eventi è avvenuto nella città di Khojaly. Nella notte del 25 febbraio 1992, le truppe delle forze armate armene, con il supporto di unità motorizzate dell’esercito dell’allora URSS, entrarono a Khojaly e compirono un massacro contro i civili.
Khojaly era una città dove, secondo il censimento sovietico del 1989, vivevano settemila persone. Aveva una posizione strategica e l’unico aeroporto della zona. Senza preavviso, nelle prime ore del 26 febbraio, i militari armeni hanno colto di sorpresa questa cittadina e hanno compiuto un atroce massacro che ha causato la morte di 613 civili, tra cui 63 bambini e 106 donne. Sono state prese in ostaggio 1275 persone, 150 risultano ancora disperse, perché nessuno è mai riuscito a trovare prove della loro vita o dei loro resti. Oggi, dopo la liberazione della città di Khojaly, sono state scoperte diverse fosse comuni di donne e bambini torturati e brutalmente uccisi. Tutte queste vittime civili erano totalmente innocenti, quindi questo atto disumano è stato un crimine contro l’umanità.
L’organizzazione Human Rights Watch lo ha classificato come il più grande massacro avvenuto in un solo giorno durante la guerra del Garabagh.
Il massacro di Khojaly è uno degli atti di violenza etnica più oscuri della fine del secolo scorso, un genocidio il cui movente non era solo la conquista territoriale, ma l’intenzione di uccidere civili a causa della loro identità e origine etnica.
Sottoporre la popolazione civile a un’invasione militare, attaccare e uccidere civili è considerato una violazione dei diritti umani universali. Attualmente l’Armenia sta cercando con tutti i mezzi di nascondere la verità, affinché il mondo non sappia cosa accadde a Khojaly il 25 febbraio 1992.
La Repubblica di Armenia ha la piena responsabilità del genocidio di Khojaly, che è esplicitamente confermato da numerosi fatti, tra cui prove e documenti investigativi, testimonianze oculari, resoconti dei media internazionali, documenti di organizzazioni intergovernative e non governative. Le fosse comuni scoperte di civili torturati non lasciano dubbi sul massacro commesso contro i civili azeri.
Serzh Sargsyan, l’ex presidente della Repubblica d’Armenia, in un’intervista con un giornalista britannico, ha rivelato il suo ruolo nel massacro, affermando: “Prima di Khojaly, gli azeri pensavano di poter giocare con noi, pensavano che gli armeni fossero incapaci di sollevare un mano contro la popolazione civile. Siamo riusciti a rompere quello (stereotipo). E questo è quello che è successo.”
Nella sentenza del 22 aprile 2010, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha formulato la seguente osservazione, che non lascia dubbi sulla questione della qualificazione del reato e della conseguente responsabilità dello stesso: “Risulta che le relazioni disponibili da fonti indipendenti indicano che al momento della cattura di Khojaly, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 1992, centinaia di civili di origine etnica azera sarebbero stati uccisi, feriti o presi in ostaggio, durante il loro tentativo di fuggire dalla città catturata, dai combattenti”. La Corte ha descritto il comportamento di coloro che hanno effettuato il raid come “atti di particolare gravità, che possono costituire crimini di guerra o crimini contro l’umanità”.
Il popolo dell’Azerbaigian ricorda queste vittime dell’aggressione armena e chiede giustizia per loro. E queste non sono le uniche vittime, perché da decenni l’Armenia persegue una costante politica di aggressione contro l’Azerbaigian e la sua popolazione civile.
Il ricordo e la memoria delle vittime di Khojaly è anche un appello al mondo intero affinché questi massacri ingiustificati e criminali come quelli che l’Armenia ha commesso contro il popolo dell’Azerbaigian non si ripetano mai più. I parlamenti di 17 paesi in tutto il mondo, tra cui Messico, Colombia, Honduras, Paraguay, Panama, Perù, Guatemala e più di 20 stati degli Stati Uniti, hanno approvato risoluzioni che condannano il genocidio di Khojaly.
È ovvio che l’impunità di cui ancora godono gli autori dei crimini continua a impedire il progresso nel raggiungimento di una pace duratura e della riconciliazione tra Armenia e Azerbaigian. Pertanto, l’accertamento della verità sulle flagranti violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani commesse durante il conflitto, l’adeguata ed effettiva riparazione delle vittime e la necessità di azioni istituzionali per prevenire il ripetersi di tali violazioni, sono tutti i necessari complementi per un vero processo di riavvicinamento e di convivenza pacifica tra le due nazioni. Come abbiamo visto subito dopo la seconda guerra mondiale in Europa.
Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia.