BANGLADESH. Scioperi a catena, in crisi le griffe italiane dell’abbigliamento. ‘Vogliamo almeno 73 euro al mese’

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bangladesh scioperiScioperi e tensioni in Bangladesh, dove le aziende di produzione del tessile, che rappresenta l’80% dell’export, sono rimaste chiuse ed i lavoratori sono scesi nelle strade per protestare ed ottenere uno stipendio di almeno 73 euro al mese, contro uno salario minimo attuale di 24 euro.
Nel paese orientale viene prodotta una buona parte dei capi firmati che si trovano nelle prestigiose boutique delle più esclusive vie dello shopping italiane e di mezzo mondo, ma va ricordato che la condizione degli operai e delle operaie è misera e ben oltre la linea dello sfruttamento: il 24 aprile scorso ben 1127 lavoratori sono morti per il crollo del complesso nel quale erano impiegati, il Rana Plaza, dove venivano prodotti capi griffati per i grossisti italiani ed europei, fra i quali Mango, Primark, Benetton, C&A, KIK e Wal-Mart. Pochi mesi prima era andata a fuoco la Fashion Tazreen e dentro erano rimasti carbonizzati 112 lavoratori, quasi tutte donne.
Al momento in Bangladesh si danno 300 fabbriche chiuse e 200mila lavoratori con le braccia incrociate, secondo i dati diffusi da Abdul Baten, capo della polizia di Gazipur.
Nelle tensioni con le Forze dell’ordine sono state ferite oltre 50 persone, inclusi alcuni agenti, e la polizia è dovuta ricorrere ai gas lacrimogeni e ai proiettili di gomma per disperdere la folla.
E’ inoltre in corso la marcia di oltre 600 Km, iniziata il 24 settembre, la quale è partita con 1200 manifestanti, ma le file si stanno ingrossando chilometro dopo chilometro: l’iniziativa è stata indetta per protestare contro il progetto devastante della centrale a carbone Rampal di 1.320 MW, il quale avrebbe un impatto distruttivo sulla regione delle Sundarbans, Patrimonio dell’umanità e culla delle più grandi foreste di mangrovie al mondo.