Cina. Con gli Usa è vero disgelo?

di Francesco Giappichini

Il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, è partito per Pechino, in visita ufficiale. Il capo della diplomazia a stelle e strisce sarà di ritorno a Washington il 21 giugno, poiché farà una tappa a Londra, per partecipare alla Conferenza sugli aiuti e sulla ricostruzione dell’Ucraina. Il soggiorno potrebbe sancire quel disgelo Cina – Stati Uniti che molti auspicano, dopo la cosiddetta «crisi dei palloni-spia» di febbraio ’23. Le turbolenze diplomatiche di quei giorni indussero la Casa Bianca ad annullare l’imminente partenza di Blinken, che il presidente Joe Biden e l’omologo Xi Jinping avevano programmato durante l’ultimo loro incontro: quello che si tenne a margine del 17esimo Vertice del Gruppo dei venti (G20), celebratosi nel novembre ’22 a Bali in Indonesia.
In quella circostanza prevalse il timore, da parte di Washington, che l’incontro sarebbe stato centrato solo sulla questione del pallone-spia abbattuto, e si perdessero di vista gli interessi strategici degli Stati Uniti. Prima di ogni considerazione, va premesso che il viaggio di Blinken avrà grande importanza, per i futuri rapporti sino-americani; e non solo perché l’ultima visita ufficiale di un segretario di Stato nel Paese asiatico, risale addirittura all’ottobre ’18. Nell’occasione Mike Pompeo, e siamo nell’era Trump, fece visita all’omologo Wang Yi, che mesi fa ha abbandonato l’incarico, (pur conservando influenza politica, grazie alla carica di director of the Office of the central foreign affairs commission).
La visita sarà importante anche perché sarà una sorta di battesimo del fuoco per il neo ministro degli Affari esteri Qin Gang, perché si punterà al bilaterale con Xi Jinping, e perché si preparerà (per l’autunno) il prossimo vertice tra il presidente cinese e Biden. E tuttavia molti analisti temono che non sarà una tappa decisiva, nel cammino dell’auspicato disgelo tra Cina – Stati Uniti. Nei fatti l’incontro è stato chiesto da Washington, con l’obiettivo principale di riaprire integralmente i reciproci canali di comunicazione: in generale tra le due amministrazioni, ma soprattutto tra le Forze armate. Ovviamente al fine di evitare, secondo appunto gli auspici della Casa Bianca, che incidenti aerei o navali (analoghi a quelli dei mesi scorsi), possano provocare un’escalation militare.
Tuttavia da parte di Pechino, almeno secondo gran parte degli analisti, vi sarebbe, al riguardo, una decisa chiusura. In sintesi, per i cinesi, stabilire regole rigide, significherebbe legittimare la presenza statunitense in aree che per Pechino sono sensibili: non solo lo Stretto di Taiwan, ma anche il Mar Cinese meridionale, (si pensi alla rivendicazione dell’intero arcipelago delle Isole Spratly, da parte del Dragone). Lo spiega bene il sinologo Francesco Sisci, professore presso la Renmin university of China di Pechino: «L’America vorrebbe fissare delle regole di ingaggio con la Cina come c’erano con l’Unione Sovietica ai tempi della Guerra fredda. La Cina non vuole per mille motivi»; insomma gli Stati Uniti «vorrebbero dei protocolli, i cinesi non li vogliono perché ritengono che sarebbe come legalizzare questi pattugliamenti americani». Blinken poi non mancherà di mettere in guardia i suoi interlocutori dal fornire armi alla Russia, poiché significherebbe oltrepassare una linea rossa. E c’è da scommettere che Pechino risponderà come in passato: «Se vogliamo davvero fermare la guerra, salvare vite umane e ottenere la pace, non dovremmo inviare armi sul campo di battaglia». ingrossare le tasche dei scafisti che io gli chiamo terroristi. I 600 morti in Grecia i scafisti chi erano ? e possibile una nave dal genere non venga avvistata sia dalla guardie costiere. Ogni uno di loro aveva pagato da 4 a 8 mila dollari per la morte. E uno scandalo.