Hamas non è la Palestina

di Giovanni Caprara –

hamasIl bilancio delle vittime palestinesi ha superato le 1.900 unità, e pertanto, sempre più abitanti di Gaza stanno mettendo in discussione le decisioni e le strategie di Hamas, il gruppo islamico militante che controlla la Striscia di Gaza, il cui metodo di governo della popolazione non belligerante è fondato sull’intimidazione. La maggior parte della disapprovazione è ancora latente, accennata solo in conversazioni private. Ma in enclave particolarmente critiche ad Hamas, come Beit Lahiya, il malcontento si sta palesando con maggiore forza, tale da poter poi sfociare in contrapposizione aperta.
La critica non riflette necessariamente una perdita di sostegno per Hamas, infatti la maggior parte dei palestinesi, tra cui anche i detrattori di Hamas, sostengono la guerra contro Israele, giustificandola come l’unico modo per ottenere, nel breve periodo, l’accoglimento delle richieste palestinesi: libero scambio economico e l’apertura dei valichi delle frontiere. I residenti di Beit Lahiya non accusano apertamente Hamas di usarli come scudi umani, ma esprimono preoccupazione e disappunto sulla scelta dei militanti di lanciare i razzi dai loro quartieri.
Ciò obbliga le Forze di Difesa Israeliane a bersagliare la zona con l’artiglieria pesante e raid aerei. Questo genera un crescente malcontento tra i palestinesi che, nonostante il loro fervente nazionalismo, accusano Hamas di essere in parte responsabile della crisi umanitaria nella Striscia di Gaza.
La speranza dei non belligeranti è affidata al negoziato fra Hamas e gli israeliani, riuniti al Cairo, per tentare di raggiungere un accordo di pace duratura. I palestinesi sperano che in caso di risoluzione positiva, Hamas possa ricostruire Gaza e migliorare l’economia devastata dai conflitti succedutesi negli anni, od almeno non ostacolare gli sforzi internazionali per restituire la dignità al territorio. Mkhaimer Abusaada, un analista politico di Al-Azhar di Gaza precisa che “Se questo non viene realizzato tra oggi e le prossime elezioni palestinesi, Hamas sarà in una situazione molto difficile. I palestinesi potrebbero abbracciare Hamas contro Israele, ma alla fine vorrebbero vedere le loro case e le infrastrutture riparate. Se questo non verrà fatto nel breve periodo, Hamas perderà la sua popolarità”.
I palestinesi sono sempre più disillusi da Hamas, che ha svelato la sua incapacità di porre fine ai blocchi israeliani ed egiziani delle frontiere, causa principale della deflazione economica di Gaza. Hamas, nel 2007, viveva una crisi finanziaria tale da non poter pagare gli stipendi dei 44mila dipendenti statali, inoltre il Governo di Hamas è stato anche offuscato ufficialmente da accuse di corruzione. Hamas è politicamente isolato, soprattutto dopo aver perso il sostegno dei suoi sponsor principali, la Siria e l’Iran, questo per aver declinato l’aiuto al regime siriano contro la ribellione sunnita.
Hani Habib, un giornalista palestinese ed analista politico, critica Hamas perché ha rifiutato la mediazione egiziana all’inizio della guerra, quando il numero delle vittime era considerevolmente più basso rispetto all’attuale. Un sentimento comune fra la popolazione di Beit Lahiya, una tentacolare enclave collinare di grandi case adiacenti al confine con Israele. Molti residenti sono stremati dal dover sopportare il peso maggiore della guerra, soprattutto perché i danni riportati da Israele sono infinitesimamente minori. Il popolo palestinese sta pagando il prezzo della decisione militare di un governo che stenta a riconoscere.
La guerra combattuta fra Hamas ed Israele è asimmetrica, ossia un attore statuale forte che si contrappone ad una formazione non convenzionale debole. Un aspetto collaterale all’asimmetria, principiato dagli attori non statuali, è definito come “shadows of war”: è un nuovo tipo di economia organizzata in una rete di interrelazioni clandestine, fondata sulla violenza e su azioni criminali.
Il denaro viene reperito attraverso rapine, traffico di stupefacenti, gestione della immigrazione clandestina e destinato all’acquisto di armi. Queste forme di sovvenzione possono essere valutate come la sorgente principale di una dinamica economica criminale transnazionale che incarna il lato oscuro della globalizzazione. A questa tipologia di sostegno economico, la ideologizzazione della lotta aggiunge altre forme di finanziamento, in particolare per quanto riguarda le formazioni islamiche: una di queste è la zakat, ossia donazioni filantropiche di credenti musulmani. Altre entrate provengono dalle elemosine raccolte nelle moschee, le quali vengono spesso dirottate al finanziamento delle cellule terroristiche.
Ciò è l’evidenza che l’ideologia religiosa si sposa con l’economia di guerra. L’accusa rivolta ad Israele è quella di usare una risposta forte che si contrappone all’offesa di minore entità subita; non è una nuova regola dei conflitti asimmetrici, ma una condotta di guerra che appartiene al passato.
Gli eserciti forti, hanno sempre usato tutto il loro potenziale bellico e di intelligence per vincere, dunque il popolo sionista non può essere condannato per questo. I conflitti asimmetrici, sono destinati per la loro natura ad estendersi sotto il piano temporale, e questo implica anche una maggiore incertezza sul raggiungimento del risultato. L’effetto negativo per l’attore statuale è nella progressiva perdita del consenso dell’opinione pubblica interna verso le azioni intraprese. Per questo motivo, è stato introdotto il concetto di “vittoria sufficiente”, intendendo con questa espressione descrivere una situazione in cui la parte debole del conflitto asimmetrico, non è stata completamente debellata, ma messa in condizione di non raggiungere più l’obiettivo preposto.
L’aver eliminato 32 tunnel che collegano Gaza ad Israele, usati dai terroristi, è una vittoria sufficiente, in netta contrapposizione con l’obiettivo di distruzione totale dell’avversario, una dottrina propria della nazione sionista. I lunghi anni di guerra stanno fiaccando Israele, che presto dovrà trovare un equilibrio interno ed internazionale per garantirsi la sopravvivenza.