Hong Kong. Legge sulla sicurezza: i social pronti a lasciare

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La controversa legge per la sicurezza introdotta ad Hong Kong, votata all’unanimità dai rappresentanti del Partito Comunista Cinese, si sta traducendo di giorno in giorno con una sempre più marcata restrizione delle libertà individuali. E’ stata di recente aggiunta a quella fondamentale di Hong Kong, la mini-costituzione che ha cinquant’anni e che è stata concordata quando la sovranità del territorio è stata restituita alla Cina dal Regno Unito nel 1997, e per gli abitanti dell’ex colonia britannica è senza dubbio un salto indietro dopo che per anni hanno vissuto una libertà piena, in stile occidentale.
Così tra le proteste continue dei movimenti di opposizione, le sassaiole, i numerosi arresti, i blocchi stradali e le cariche della polizia, è in atto una progressiva erosione delle libertà di Hong Kong, dato evidente già a partire dal 2014 con la Rivolta degli Obrelli per passare al 2017, quando il Comitato permanente del Congresso del Popolo nazionale (Npc) ha introdotto un sistema elettorale che prevede per l’elezione del capo del governo locale la scelta fra due o tre candidati ricavati da una rosa di nomi approvati da Pechino, ovvero “patriottici”. Di recente vi è stato il tentativo delle autorità, al momento fallito per le proteste, di far passare la legge sull’estradizione, mentre quella sulla sicurezza è stata semplicemente imposta, con tanto di pene persino per chi disturba l’esecuzione dell’inno nazionale.
La stessa legge obbliga però le aziende che forniscono sevizi social e internet, da Facebook a Google, da Telegram a Wathsapp, di comunicare alle autorità cinesi i nomi dei fruitori, e da subito vi è stata una levata di scudi che potrebbe compromettere la diffusione dei social liberi fra i 7,5 milioni di abitanti di Hong Kong.
Mike Ravdonikas, portavoce di Telegram, ha fatto sapere che “Telegram non ha mai condiviso alcun dato con le autorità di Hong Kong in passato e non intende elaborare alcuna richiesta di dati relativa ai suoi utenti di Hong Kong finché non verrà raggiunto un consenso internazionale in relazione ai cambiamenti politici in corso nella città”, mentre Tik Tok ha semplicemente sospeso il servizio, con la proprietaria Byte Dance che ha affermato che “siamo pronti a lasciare”.
Facebook, Google e Twitter al momento si sono limitati a tenere in sospeso le richieste delle autorità cinesi, ed il segretario di Stato Micke Pompeo ha parlato di “censura”, osservando che è in atto “una continua distruzione di Hong Kong da parte di Pechino”: “Mentre l’inchiostro è ancora fresco sulla repressiva legge sulla sicurezza nazionale, le autorità locali, in un atto orwelliano, hanno iniziato a rimuovere i libri critici al Partito Comunista Cinese dagli scaffali delle biblioteche, a vietare gli slogan politici e a chiedere alle scuole di imporre la censura”.