I porti libici ed il potere dello Stato Islamico

Luigi A. Ottoni * –

dernaLa Libia è un Paese di enorme complessità culturale, politica e militare. Popolata da quattro etnie diverse, suddivise in svariate tribù, composte da famiglie, la Libia risulta essere null’altro che un’entità quasi astratta, i cui confini, puramente ideali, non sono altro che rette tracciate sulla carta fin dal tempo della guerra italo-turca, quando le potenze europee dividevano sulle mappe topografiche il continente africano in settori da suddividere tra le Nazioni colonizzatrici.
L’occupazione della Libia da parte italiana agli albori del secolo scorso, a differenza di come si potrebbe pensare, non consistette nell’effettivo controllo di tutta l’area definita sulla carta, ma si limitava esclusivamente alle zone litoranee principali: ci vollero decenni di ulteriori guerre e operazioni di contro-guerriglia per consentire all’Italia di controllare porzioni di territorio più consistenti. Non bisogna tuttavia pensare a linee di confine sahariane demarcate da cippi o difese da fortificazioni di confine. Nulla di tutto ciò caratterizza i confini desertici dell’entroterra libico, quasi fittizi: distese di sabbia intervallate da piste e rotte attraverso il deserto.
L’Italia giolittiana di inizi ‘900 sapeva bene che controllare la costa libica era vitale al fine di controllare l’intero Paese, seppur non militarmente, ma economicamente e politicamente.
La costa libica, infatti, è un grande crocevia attraverso il Sahara; sui suoi territori si incrociano le grandi rotte che dal Centro Africa, dal Senegal e dal Corno d’Africa, dall’Oceano Atlantico all’Oceano Indiano, attraversano il Mali e la Nigeria da una parte e il Sudan dall’altra. Queste vie vengono da secoli percorse da mercanti, migranti, schiavi, contrabbandieri, narcotrafficanti e signori della guerra. In particolare, qui due grandi arterie del deserto vengono a unirsi alla via commerciale costiera libica all’altezza di Tripoli in Tripolitania e a sud di Bengasi nella Cirenaica.
Chi controlla la costa, dunque, può regolare il flussi di migranti, tassare i commerci, controllare tantissime materie prime, traffici di armi e il narcotraffico di cocaina, che dall’America Meridionale si snoda nel Centro Africa e di lì si dirige verso l’Europa proprio attraverso le rotte carovaniere trans sahariane.
In tale contesto, nel caos libico attuale, operano le milizie libiche che, attratte da fanatica convinzione, da desiderio di profitto o di potere, si sono poste sotto le insegne nere di Daesh (IS), l’autoproclamato Stato Islamico sorto dalle macerie della Primavera Araba e delle guerre in Medio-Oriente.
In Nord Africa questi jihadisti di al-Baghdadi hanno condotto attentati in tutto il Maghreb e in Egitto, tentando così di destabilizzare quei Paesi già duramente indeboliti da proteste interne, scontri e guerre civili, per poi avanzare e conquistare quei centri nei quali il caos e l’anarchia militare sembrano essere l’unica alternativa al dominio del pretenzioso Califfato.
Procedendo attraverso attentati terroristici, accompagnati da rapide azioni di piccoli manipoli di fanteria leggera, i miliziani di Daesh hanno avanzato nei territori dove la guerra civile libica aveva portato già il caos, impossessandosi di Derna, in Cirenaica. Stabilito qui il quartier generale dello Stato Islamico in Libia, Daesh ha puntato immediatamente alla conquista di Sirte, città portuale tripolitana.
Sirte, città strategicamente vitale, viene considerata dal Califfato la sua vera roccaforte in Nord Africa e difesa dai jihadisti strenuamente. Da qui, le forze dello Stato Islamico colpiscono le altre zone costiere della Tripolitania: nel mese di gennaio 2016 Daesh ha attaccato con particolare forza i centri petroliferi nella zona di Ras Lanuf, ad Est della città di Sirte e una caserma della città costiera di Zliten, ad Ovest.
Daesh non è il solo attore che lotta per controllare la Libia: oltre ai due Governi di Tobruk e di Tripoli, vi sono una serie di fazioni in lotta fra loro, che intessono fragili e precarie alleanze o si lanciano in una serie di combattimenti contro tutti gli altri contendenti, in una caotica guerra totale.
Le coste libiche, indebolite da questa anarchia, sono facile bersaglio per lo Stato Islamico, che mira a controllare più punti possibili della via costiera, al fine di ottenere un’egemonia sulle grandi rotte del deserto. Per fare ciò, a Daesh servono uomini, armi e una qualche legittimazione del suo potere in Nord Africa: una motivazione per spingere il maggior numero di fazioni a militare sotto la bandiera nera o ad allearsi con essa.
È proprio per questo motivo che lo Stato Islamico ha puntato immediatamente a conquistare la debolmente difesa Derna, sede dell’Ouagadougou Conference Center, fondato da Gheddafi per riunire i rappresentanti dell’Unione Africana e riutilizzato dai jihadisti dello Stato Islamico come sede del potere salafita in tutta l’Africa.
Il potere sulla città cirenaica non è totalmente in mani di Daesh, ma condiviso con altre milizie jihadiste, dunque è sulla difesa dell’altro centro urbano di Sirte che le forze legate ad al-Baghdadi concentrano maggiormente i loro sforzi. Situata nel cuore della Tripolitania, Sirte è più facilmente difendibile di Derna, città pericolosamente vicina a Tobruk e raggiungibile dalle truppe del principale alleato di Tobruk, l’Egitto.
Sirte dal canto suo è un simbolo del potere libico di Gheddafi che Daesh non ignora, è una città interamente attraversata dalla via costiera ed è circondata da territori in tumulto: l’assenza di un vicino pericoloso e la presenza di gruppi tribali in lotta fra loro nelle vicinanze creano una zona ‘cuscinetto’ perfetta per difendere Sirte contro eventuali attacchi dei governi libici o dell’occidente.
La presenza di Daesh sulle coste libiche non fa certo dello Stato Islamico una ‘potenza maritima’: seppur in possesso di imbarcazioni, le milizie jihadiste non possono che limitarsi a piccole e brevi azioni di pirateria, volte ad arricchire le finanze del Califfato, messe in crisi anche dai recenti bombardamenti.
I mezzi di cui si serve lo Stato Islamico in Libia sono gli stessi catturati nel corso della Guerra Civile contro Gheddafi, oppure delle semplici autovetture o pick-up, utilizzati come veicoli-bomba o per il trasporto di miliziani armati. Se non si può escludere la presenza di veicoli blindati e corazzati, di certo questi non possono essere utilizzati da Daesh in modo efficace: ciò si deve al fatto che le forze salafite non sono addestrate alla guida o al combattimento con mezzi corazzati, inoltre la continua ed esagerata propaganda mediatica dello Stato Islamico avrebbe senza dubbio menzionato la presenza di questi veicoli per intimorire i nemici.
I combattenti dello Stato Islamico in Libia non si compongono solo da milizie libiche sponsorizzate da Daesh: in questo teatro Nord Africano, molti sono anche i guerriglieri mercenari o fanatici provenienti dagli altri Paesi non solo africani, ma anche europei e americani (foreign fighters). In aggiunta a costoro, si aggiungono anche molti veterani della Guerra Civile libica, ex-rivoltosi oppure vecchie guardie di Gheddafi, uniti sotto le insegne nere.
Molti sono anche i reduci della Guerra in Mali, i quali, in seguito all’intervento francese, hanno ripiegato in Libia per continuare lì la loro Jihad. Anche Boko Haram dal Centro Africa, ha voluto l’invio di milizie islamiste in Libia, al fine di aiutare l’alleato Stato Islamico e di far guadagnare ai suoi uomini una certa esperienza sul campo.
Questo afflusso di combattenti, mercenari e non, costituisce la forza di Daesh in Libia: capace di rinnovarsi grazie all’afflusso di volontari stranieri, ma dalla natura estremamente frammentata e scomposta, incapace di adottare procedure standardizzate.
Gruppi di miliziani armati alla leggera e piccole azioni di pirateria tuttavia bastano, ad ora, a difendere Sirte e a colpire economicamente gli attori avversari attraverso rapimenti, attentati ed incursioni. Di qui la vera arma di Daesh, la propaganda, si mette in azione, amplificando i successi ottenuti dallo Stato Islamico al fine di destare soggezione nei sunniti, ovvero il totale della popolazione libica.
Ciò che ovviamente Daesh non pubblicizza è l’assenza di una difesa terra-aria efficace: da ciò si deduce che una qualsiasi azione aerea contro Sirte riuscirebbe pressoché indisturbata.
Se poi Tripoli e Tobruk risultano in una fase di stallo, troppo forti per soccombere ma troppo deboli per unificare la Libia e sconfiggere Daesh, ciò non varrebbe per un Governo di unità nazionale, il quale potrebbe usufruire delle risorse tripolitane e cirenaiche nonché, eventualmente, di aiuti da parte della Comunità Internazionale per riconquistare le città costiere e respingere i jihadisti verso il deserto. Per tale motivo, lo Stato Islamico in Libia effettua una strategia di divisione tra le fazioni, tentando di indebolire economicamente l’una e l’altra per far sì che gli attori in campo non abbiano mai un vero equilibrio economico da mettere sul tavolo delle trattative; a tutto ciò si aggiungono anche le alleanze di Tripoli (Turchia e Qatar) e Tobruk (Egitto) in antitesi tra loro.
Consci dell’importanza vitale della zona costiera, i due Governi protagonisti delle trattative stanno incentivando la sicurezza del litorale, creando e incrementando forze di polizia e di guardia costiera, ma se questo basterà alla difesa dei territori già in possesso dei governi, non è sufficiente alla riconquista delle città perdute. Esempi di queste non sono solo Derna e Sirte, controllate o parzialmente controllate dallo Stato Islamico, ma anche città portuali come Misurata e Bengasi.
Misurata è attualmente controllata da un consiglio di tribù locali che governano la città in modo autonomo e che accettano accordi o scambi con qualsiasi fazione, mentre Bengasi è sconvolta da disordini tra milizie in lotta fra loro per il controllo della città.
Queste due città portuali sarebbero una fruttuosa conquista per lo Stato Islamico per ottenere il controllo su una lunghissimo tratto della via marittima, su quasi tutto il Golfo della Sirte e dunque di tutto il commercio e le risorse libiche. I pozzi di petrolio e i campi di gas naturale, situati in gran parte a sud della Cirenaica e nell’interna regione del Fezzan, portano molte delle loro risorse nelle raffinerie e nei terminal export proprio nella zona costiera di Ras Lanuf, dove, se per ora lo Stato Islamico si sta limitando a colpire l’economia libica con attentati, non si potrebbe escludere un tentativo di conquista da parte di Daesh, attraverso rapide azioni da terra e dal mare per bloccare i terminal ed assumere il controllo dei principali porti del Golfo.
Così facendo, seppur non ottenendo il controllo politico-militare dell’intero Paese, inverosimile, viste le limitate potenzialità tattiche di Daesh, lo Stato Islamico potrebbe controllare tramite il Golfo della Sirte la maggior parte delle risorse economiche libiche, nonché una buona visibilità mediatica al livello africano e mondiale. Il controllo dei porti libici garantirebbe allo Stato Islamico di poter diventare un interlocutore fondamentale (sempre che diventi disposto alle trattative) per il controllo dei flussi migratori, delle risorse economiche, del narcotraffico e del contrabbando, portando moltissimo denaro e prestigio alla causa jihadista salafita del Califfato.

Africa (N) copy

* Luigi A. Ottoni. Laureato in Relazioni Internazionali, si è specializzato nell’analisi geopolitica e militare inerente all’area MENA con particolare attenzione alla Libia ed all’Iraq.

Nella prima foto: Derna.

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