Il Messico apre ai privati nel settore petrolifero, ma è subito flop

di Marco Dell’Aguzzo –

piattaforma_petrolioDopo anni e anni di tentennamenti, resistenze e rifiuti, lo scorso mercoledì 15 luglio il Messico ha pronunciato il fatidico sì: sì agli investimenti privati e stranieri nel settore petrolifero, così da (almeno questi sono gli intenti) incrementare la produzione e far ripartire l’economia. Ma i grandi portafogli non sembrano particolarmente interessati, nonostante la bassa tassazione garantita dal governo.
Il 15 luglio sono stati infatti messi all’asta quattordici blocchi esplorativi nelle acque poco profonde del Golfo del Messico, tra gli stati di Campeche, Veracruz e Tabasco. Tuttavia la “Ronda Uno”, come l’asta è stata soprannominata, si è conclusa con un flop: dei quattordici blocchi totali, ne sono stati venduti appena due.
Siamo decisamente lontani dai miliardi di dollari sognati dalla Segreteria dell’Energia, che contava di venderne sette di quei blocchi, o almeno quattro. Nonostante nessuno degli obiettivi sia stato raggiunto, le istituzioni si sono mostrate serene: del resto questo è solo il primo passo, si è detto, e i dodici blocchi rimasti invenduti potranno essere inclusi in qualche asta futura.
Un solo consorzio si è aggiudicato entrambi i blocchi esplorativi assieme ad un contratto che gli permetterà di setacciare per trent’anni le zone alla ricerca di petrolio e altre fonti energetiche, ed è il consorzio guidato dalla compagnia messicana Sierra Oil & Gas, affiancata dall’americana Talo Energy e dall’inglese Premier Oil. All’asta di mercoledì hanno partecipato nove aziende; tra queste, anche l’italiana Eni.
Il “Round” del 15 luglio è stato solo il primo di una lunga serie, che dovrebbe concludersi con la vendita di 109 aree di esplorazione e di 60 campi di estrazione.
Il fallimento di questa prima asta costituirà un nuovo motivo di imbarazzo per l’amministrazione Peña Nieto, non ancora ripresasi dalle accuse di inefficienza mosse a seguito dell’evasione, sabato 11 luglio, del celebre narcotrafficante “El Chapo” Guzmán da un carcere di massima sicurezza.
L’apertura del mercato dell’estrazione di petrolio ai privati è l’ultima mossa di una strategia di privatizzazione iniziata nel 2014, quando Enrique Peña Nieto privatizzò la Petróleos Mexicanos (o PEMEX), l’azienda petrolifera messicana nata nel 1938 in seguito alla nazionalizzazione (fortemente voluta dal presidente Lázaro Cárdenas) di tutte le compagnie petrolifere allora esistenti, principalmente in mano agli stranieri (soprattutto americani, inglesi e olandesi).
La PEMEX non sta passando un bel periodo, comunque: lunedì 6 è stata costretta ad annunciare alla Bolsa Mexicana de Valores (Mexbol o BMV), l’unica borsa valori del Messico, che almeno un suo funzionario è attualmente indagato per estorsione: avrebbe preteso dieci milioni di pesos e due monovolume da Súper Pereyra, un’azienda attiva nel settore della ristorazione, in cambio della possibilità di lavorare nella Sonda de Campeche, nella penisola dello Yucatán.
Già strutturalmente carente e non in grado di sfruttare appieno gli enormi giacimenti di gas e petrolio di cui il Messico dispone, nel 2013 la PEMEX spese ben 299 milioni di pesos in servizi di sorveglianza e di pattuglia, dato l’altissimo numero di furti subiti. A succhiare petrolio dalle sue tubature sono spesso le organizzazioni criminali e i cartelli della droga come quello degli Zetas: proprio questa era la pista su cui stava investigando il giornalista radiofonico Armando Saldaña prima che lo uccidessero, quattro colpi alla testa, il 4 maggio scorso.

Twitter: @marcodellaguzzo