Il premier cinese Wen Jiabao ed i così poco “maoisti” 2,7 miliardi di dollari intestati ai parenti

di Enrico Oliari –

Qualche giorno fa il The New York Times aveva pubblicato un’inchiesta sulla ricchezza della famiglia del premier cinese Wen Jiabao; si tratterebbe di un capitale enorme, ritenuto poco consono per il Primo ministro di una nazione che – ogni tanto va ricordato – è stata teatro di una rivoluzione molto radicale nel sistema socio-economico di stampo marxista-leninista, la quale, con il  Grande balzo in avanti e la Rivoluzione culturale, ha causato decine di milioni di morti.
E così, confinata al ruolo di abbellimento estetico l’immagine del Grande Leader Mao Tse-tung (sì, era quella che solo pochi decenni fa i giovani universitari italiani portavano nel portafoglio come un santino, per cui si facevano scioperi, si devastavano le città e si urlavano slogan), la Cina appare oggi come una delle prime potenze economiche del mondo, con un capitalismo sfrenato mascherato da comunismo che racchiude in sé non solo i vizi del forte divario fra il ricco e il povero e della classe operaia sfruttata all’inverosimile, ma anche le virtù di chi ha saputo e sa come fare i bei soldoni.
Cercata di contenere con l’immancabile censura la notizia del colossale arricchimento della famiglia dell’attuale premier (giusto per far vedere che un po’ di comunismo, alla fine, è rimasto), alcuni dirigenti dell’ala più conservatrice del Partito comunista cinese hanno chiesto a Wen Jiabao di “fornire delle spiegazioni circostanziate su tutte le accuse più importanti” mosse dal quotidiano statunitense The New York Times, ovvero su quei così poco “maoisti” 2,7 miliardi di dollari che risulterebbero intestati attraverso società e giri di denaro a famigliari e parenti del premier, un espediente per evitare le regole di trasparenza imposte dal Partito.
Solo la 90enne Yang Zhiyun, madre del Primo ministro, già insegnante ovviamente in pensione, avrebbe a suo nome 120 milioni di dollari investiti in una società di servizi finanziari cinese, la Ping An Insurance.
Da parte sua Wen Jiabao, che è la stessa persona che sta invitando i paesi europei a rimettere i conti in odine, nega il tutto ed attraverso i suoi avvocati ha parlato di diffamazione ed ha preannunciato querele nei confronti del The New York Times; si è inoltre reso disponibile per essere sentito dalla magistratura, ma la vicenda, già di per sé piuttosto imbarazzante per l’intera nomenklatura cinese, si inserisce a pochi giorni dalla caduta dell’ex dirigente del Partito comunista cinese Xilai, formalmente incriminato di corruzione ed a poche settimane dal Congresso del partito.