“Io, guardia del corpo di Ben Alì”. Intervista a Abdorrahman Soughir: “Comandava la moglie. E si ubbidiva a Israele”

di Saber Yakoubi –

Vi sono uomini che vivono nell’ombra, di cui si sa poco o nulla, ma che sono testimoni diretti di avvenimenti importanti: è un errore vedere nelle guardie del corpo individui immobili, privi di espressione e di coscienza, addestrati solo per agire in modo meccanico; hanno occhi, orecchie e la loro memoria è uno scrigno che può raccontare molto di quanto si muove dietro le quinte, come nel caso di Abdorrahman Soughir, testimone importante del regime che, prima del vento della Primavera Araba, governava la Tunisia.
E’ un uomo di cui si sapeva poco, spuntato nel dopo-rivoluzione, così, dal nulla. Con un video su Facebook si è presentato come ex guardia del corpo di Ben Alì, ed ha raccontato della sua incredibile esperienza presso il palazzo presidenziale di Cartagine.
Contattato per ‘Notizie Geopolitiche’, ha accettato di raccontarsi e riferire dettagli inediti sull’ex presidente Ben Alì.

In Medio Oriente ed Iraq non ero conosciuto con il mio vero nome, Abdorrahman Soughir  – spiega – bensì come Abou Miriam, terzo livello forze speciale della Tunisia; sono stato addestrato negli Stati Uniti presso la Airborne e la Air Force, come pure in Europa, per proteggere autorità e persone di prestigio. Poi, dal 1988 al 2001, sono stato la guardia personale di Ben Alì”.

– Immagino sia stato un lavoro che Le abbia portato soddisfazioni…

Inizialmente ero contento ed orgoglioso di servire il presidente del mio paese, per me era un lavoro nobile e di grande responsabilità. Già da subito, tuttavia, mi sono reso conto che il mio ruolo comprendeva anche altre ‘mansioni’, come essere il custode di papponi e di prostitute, il manichino presente ai droga-party organizzati dalla moglie di Ben Ali. Nel palazzo c’era una vita fatta di lussi e di sprechi, mentre in Tunisia aumentavano povertà e disoccupazione… vedevo con i miei occhi il denaro del popolo distribuito a parenti, ruffiani e persone senza nessun incarico ufficiale, solo per il fatto di essere raccomandati. Ero in crisi da tempo, ma il fondo è stato toccato quando sono arrivati i primi ordini di uccisioni mirate o di azioni contro la stessa popolazione. Per non partecipare a queste missioni, che reputavo ingiuste, trovavo scuse, fino a quando, nel 2001, decisi di andarmene”.

– Com’era il Ben Alì non ufficiale, nella vita di tutti i giorni e nelle sue relazioni private?

Per prima cosa vorrei dire che a comandare in Tunisia non era Ben Alì, bensì Laila Trabelsi, la moglie: lui era solo un pupazzo nelle sue avide mani, che non faceva nulla senza il placet di lei. Si erano conosciuti ad una serata privata, organizzata per gente di classe, dove si facevano follie. Poi, la loro vita è continuata così, con il ritmo di quella sera. Lei beveva molto e litigavano a squarcia gola fino all’alba: non dimenticherò mai di aver visto, una notte, il presidente del nostro paese ricevere un sonoro schiaffo in faccia dalla moglie”.

– Si è parlato tanto del legame di Ben Alì e della moglie con Israele ed oggi sono accusati di aver appoggiato gli interessi di quel paese. Che può dirci a riguardo?

Per rispondere a questa domanda, bisogna tenere presente che Laila Trabelsi era designata alla successione di Ben Alì: nell’epoca antecedente la Primavera Araba, era necessario, per salire al potere, appoggiare direttamente o indirettamente Israele, per avere la ‘benedizione’ da parte dell’Occidente”.

– Oltre alla moglie, chi partecipava alle decisioni di Ben Alì?

“I cognati, fra i quali Belhassan Trabelsi, ora in Canada, quindi Slim Chibub,e Sakhr Almatri: in pratica erano i veri padroni della Tunisia. I parenti diretti del presidente erano stati allontanati dalla cerchia grazie all’intervento della moglie; avevano ottenuto comunque, come ‘buona uscita’, denaro, terreni e progetti industriali”.

– Intervistato da al-Jazeera, Lei ha parlato di un fatto che L’ha portato a lasciare il paese. Lo può spiegare anche a noi?

Nella notte tra il 15 e il 16 gennaio 1999 erano stati uccisi a Cartagine Birsa il leader palestinese Abou Lhawle ed alcuni suoi collaboratori dalla sua guardia personale Hamza Abou Zid. Questi aveva poi sequestrato la moglie del leader, la figlia e la domestica mauritana. Ero stato incaricato di liberarle e, raggiunto il rifugio, ero entrato in casa dal retro: c’era stato un conflitto a fuoco, fino a quando, dopo averlo distratto con la proposta di trattare, avevo lanciato verso di lui una bomba stordente e lo avevo potuto arrestare. Mentre accompagnavo l’assassino in questura, questi mi chiese di fare in modo di non essere consegnato all’Olp, altrimenti avrebbe dovuto dichiarare che quanto successo era scaturito da una decisione congiunta di Ben Alì e di Israele. Lì ho capito perché mi era stato ordinato non di arrestare, ma di uccidere il sequestratore. Avevo notato le facce dei militari dei servizi segreti, mentre conducevo Abou Zid vivo, anche perché vi sarebbero state complicazioni ed imbarazzi con l’arrivo a Tunisi, il giorno seguente, di Arafat”.

– Ad al-Jazeera ha detto anche che Hamza Abou Zid è stato giustiziato…

Quando sono tornato in Tunisia, dopo la rivoluzione, sono stato arrestato all’aeroporto e sono stato interrogato per tre giorni, durante i quali ho potuto constatare che Abou Zid era stato ucciso e buttato nel mare”.

– Come faceva Ben Alì a far ammazzare un esponente palestinese e nel contempo accogliere Arafat?

Ben Alì obbediva e serviva Israele: questo era di primaria importanza per un po’ tutti i presidenti del mondo arabo, poiché ne garantiva il governo a vita”.

– Il presidente riceveva visite non ufficiali a palazzo?

Specialmente gli israeliani: erano visite che non potevano essere dichiarate. Mi ricordo anche di tre persone con passaporto italiano in viaggio con un saudita ed ancora di esponenti del servizio segreto libico”.

– Poi si è trasferito in Iraq e da lì in Afghanistan, dove ha conosciuto sua moglie…

Avevo una buona esperienza alle spalle, il lavoro da quelle parti per uno come me non mancava: ero guardia del corpo per funzionari dell’Onu, politici, personalità… Sia in Iraq, che in Afghanistan, sono stato istruttore dell’esercito regolare”.

– E lì che aria tirava?

Io penso che l’intervento militare sia stato un gioco molto sporco, una guerra sbagliata voluta da George Bush, persona che, secondo me, dovrebbe essere trascinata in tribunale per rispondere dei veri motivi di quella guerra”.

– Lei conosce l’Afghanistan e Sua moglie è afghana… che ne pensa dei talebani?

Vorrei rispondere da professionista che si intende di guerra: in Afghanistan la Nato si sta facendo umiliare, sembra che non abbiano tenuto minimamente in conto l’esperienza dei sovietici. I talebani credono in qualcosa che la Nato non può capire… come si fa a sconfiggere qualcuno che è convinto, se ucciso, di andare in paradiso?”.

-Una battuta sull’Esercito italiano in Afghanistan…

L’Esercito italiano è di grande tradizione e si differenzia molto dagli altri eserciti, specialmente per la sua formazione pedagogica e per il rapporto che è riuscito ad istaurare con gli abitanti, sia a Bassora, in Iraq, che a Herat, in Afghanistan. Malgrado gli incidenti, nessuno ha mai perso la testa, si sono sempre comportati con professionalità; può capitare di vedere al mercato di Kabul un militare italiano disarmato, segno evidente del rapporto di fiducia i soldati ed i cittadini. Tuttavia, spero che quanto prima tornino a casa loro, perché gli afghani non hanno bisogno di nessuno, neanche degli italiani”.