L’a.d. dell’Eni Paolo Scaroni, ‘migliorata la produzione in Libia. Lasceremo la Nigeria’

di Enrico Oliari

scaroni grandeL’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, è intervenuto oggi sulla produzione di gas e di greggio in due settori chiave, la Libia e la Nigeria.
Nonostante la situazione caotica che interessa la Libia, con venti di secessione sulle macroregioni della Cirenaica e del Fezzan, autogoverni tribali, milizie autonome armate, scioperi, tentativi di gruppi ribelli di vendere per proprio conto l’oro nero e gli altissimi tassi di violenza e di criminalità, il colosso italiano degli idrocarburi riesce a lavorare, ed anche bene: come ha spiegato Scaroni, “In Libia miracolosamente stiamo producendo l’80% del quantitativo massimo che potremmo produrre: siamo gli unici, gli altri fanno il 20%, questo perché noi produciamo molto gas, che anche la Libia consuma”.
Solo pochi giorni fa Scaroni ha incontrato il nuovo premier Abdullah al-Thani, con il quale aveva parlato “dell’importanza mantenere e incrementare gli attuali livelli produttivi di Eni in Libia, di fondamentale importanza per il Paese dal momento che le produzioni operate da Eni congiuntamente con la Noc contribuiscono per buona parte alla produzione di idrocarburi libica, assicurando al contempo la generazione di elettricità per uso locale”.
Il 9 marzo scorso le milizie autonome dell’autoproclamatosi governo della Cirenaica (Repubblica di Barqa) avevano fatto arrivare al terminale di al-Sidra la petroliera battente bandiera nordcoreana “Morning Glory”, l’avevano caricata di 350mila barili di petrolio e l’avevano fatta uscire dal porto, superando i blocchi delle imbarcazioni militari libiche. Fermata poi dai Navy Seals americani, l’imbarcazione era stata consegnata alle autorità di Tripoli.
Vista quindi l’impossibilità di vendere autonomamente il greggio, Abdo Rabbo al-Barassi, “premier” della Cirenaica, e Ibrahim Jathran, capo supremo dei miliziani della regione, hanno riferito di voler cercare di risolvere la questione attraverso il dialogo e il confronto “con tutti i libici”.
Ma potrebbe essere proprio l’Eni a contribuire alla cooperazione fra il governo centrale e i ribelli della Cirenaica, poichè, come Scaroni ha spiegato oggi, “il nuovo premier, che abbiamo incontrato domenica, è riuscito a stabilire un ponte con i federalisti della Cirenaica. Questo è molto importante, infatti stiamo pensando di fare un viaggio a Bengasi per incontrare proprio i leader della Cirenaica”.
Sembra quindi lontano il novembre nero dello scorso anno, quando i guerriglieri della tribù berbera Amazig avevano preso il controllo dell’impianto di Mellitah, gestito in join venture Eni – Noc, da cui parte il gasdotto per l’Italia: allora l’amministratore delegato aveva dichiarato ai microfoni di Radio Uno che il gasdotto Greenstream sarebbe potuto essere “chiuso in quanto sotto attacco da parte di un gruppo di guerriglieri che vorrebbero bloccare le esportazioni verso nord”.
Scaroni, che si era detto “preoccupato” per la situazione libica, aveva aggiunto che di idrocarburi ce ne sono molti “da tante parti del mondo” e tutta l’Italia sta godendo di clima “particolarmente benevolo”.
Se la situazione in Libia per l’Eni è da allora nettamente migliorata, in Nigeria le cose permangono problematiche: intervenendo al Senato l’amministratore delegato dell’Eni ha avvertito che c’è l’ipotesi di abbandonare il paese a causa del cosiddetto “bunkering”, ovvero i continui furti di petrolio.
“Nel Delta del Niger – ha detto Scaroni – chi opera a terra siamo noi, Total e Shell. Si tratta di un tema delicatissimo perché siamo soggetti al cosiddetto bunkering: criminali perforano tubazioni, prelevano il greggio, lo raffinano, vendono la benzina e lo buttano in mare, creando un danno ambientale spaventoso”. “Passiamo il tempo a chiudere e ad aprire le tubature. L’anno scorso a fronte di 170 mila barili al giorno potenziali ne abbiamo prodotti 110 mila e stiamo pensando, abbiamo pensato, di abbandonare la Nigeria, dove siamo dal 1955”, ha concluso.