La guerra all’Isis e le aziende Usa che producono di armi. Che prosperano

di Ehsan Soltani –

lochheed martin graficoL’impegno della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti contro lo Stato Islamico (Isis) rappresenta una miniera d’oro per i produttori di armi statunitensi, i quali vedono incrementarsi i propri profitti. L’ex Segretario alla Difesa Leon Panetta ha detto, cosa che ha fatto oggi anche il Segretario di Stato John Kerry, che il conflitto contro l’Isis durerà a lungo, forse anche decenni, per cui ne consegue che le fabbriche di armi statunitensi rimangono i maggiori beneficiari della crisi. Le lobbies dei produttori di armi si sono mosse da tempo per fare pressione sulla Casa Bianca e spingere per prolungare l’intervento contro l’Isis, non solo per quanto riguarda i teatri siriano e iracheno, ma anche per ciò che concerne la questione della sicurezza globale.
Addirittura vi sono analisti militari i quali ritengono che la scarsa efficacia dei raid aerei della coalizione internazionale contro le postazioni dello Stato Islamico sia da imputare alla presunta volontà dell’amministrazione Usa di dilatare i tempi dell’attuale fase di intervento, tant’è che nonostante i costosissimi ed efficaci caccia, i jihadisti sono riusciti ad avanzare e a prendere il controllo del 40% della città curdo-siriana di Kobane (Kobanî in curdo), situata presso il confine turco.
Richard Aboulafia, vice presidente di Teal Group Corporation, azienda impegnata nel campo dell’analisi di mercato dell’industria aerospaziale e della Difesa, non ha nascosto dei benefici che le aziende Usa trarranno da questa “guerra lunga”, ed ha spiegato in un suo intervento che “essa è l’ideale per le aziende che hanno a che fare con il mondo militare, che così si trova nella condizione di dover chiedere maggiori stanziamenti alla Difesa”. Basti pensare al costo degli aerei, del loro mantenimento, delle bombe, del personale, per cui si arriva a modelli sempre più sofisticati, che richiedono finanziamenti in crescita.
Dopo l’invio da parte del presidente Obama di consiglieri militari in Iraq, è cresciuto notevolmente il valore delle aziende produttrici di armamenti, come pure le quotazioni in borsa dei partner privati del Pentagono: la Lockheed Martin, ad esempio, nel corso degli ultimi tre mesi ha aumentato del 9,3% il proprio valore, mentre quello di Raytheon e di Northrop Grumman è cresciuto dell’8,3%, e della General Dynamic, del 3%; per fare un confronto, basti pensare che, secondo Standard & Poor, l’indice delle 500 maggiori società finanziarie americane durante lo stesso periodo è sceso del 2,2%. La Lockheed Martin produce in particolare i missili “Hellfire”, che equipaggiano i velivoli senza pilota “Reaper” e gli aerei da caccia iracheni, e la Raytheon ha vinto un contratto del valore di 251 milioni di dollari per la fornitura di missili da crociera Tomahawk alla Navy.
Gli analisti militari si aspettano che con la decisione della Casa Bianca di intensificare le missioni militari in Siria e in Iraq raddoppierà l’entusiasmo degli investitori di destinare finanziamenti alle aziende del settore della Difesa; Loren Thompson, esperta analista del Lexington Institute con il compito di valutare gli appalti delle aziende che operano nel campo della Difesa, ha riferito che “le loro condizioni sono sensibilmente migliorate rispetto a quanto gli esperti si aspettano tre anni fa”.
È interessante notare che questo boom economico che interessa l’industria militare statunitense non è dovuto solamente ai contratti firmati dal Governo statunitense, bensì anche ai contratti conclusi con i paesi europei e del mondo arabo che partecipano alla coalizione contro lo Stato Islamico. Ed oltre ai fiumi di denaro indirizzati per gli acquisti utili alla coalizione, vi sono nuovi ed importanti contratti per sostenere le forze irachene e gli elementi opposizione siriana.