La Russia davanti alla minaccia di sanzioni: chi fa la voce grossa. E chi si preoccupa

di Enrico Oliari

putin gazprom grandeLa Russia sempre più in odore di sanzioni: ammessa ormai da Mosca la presenza di militari russi nella penisola della Crimea, si fa sempre più concreta l’ipotesi di ritorsioni, nonostante negli anni Putin abbia tessuto importanti relazioni diplomatiche e commerciali con doversi paesi occidentali, a cominciare dall’Italia; ad esempio, lo scorso 26 aprile l’allora premier Enrico Letta si era incontrato a Trieste con l’omologo russo per stipulare ben 30 fra accordi ed intese.
Certo è che se qualcuno pensa che la Russia è un gigante che può sopportare con leggerezza e noncuranza le sanzioni dei paesi occidentali, si sbaglia: se è vero che il paese dai 12 fusi orari e dall’economia in evoluzione detiene importanti risorse energetiche, altresì è evidente che a qualcuno debba venderle, e di certo non a paesi dall’economia debole e dalla situazione politica instabile.
Inoltre la Russia di oggi non è l’Unione sovietica di ieri. A determinarlo sono proprio i molti interessi intrecciati con le potenze planetarie, per cui l’exploit dell’economia russa è tale e può continuare ad essere tale solo rimanendo parte integrante ed attiva di un contesto occidentale o quantomeno di congiunzione Occidente e Oriente.
Tuttavia è stato proprio il diverso peso di interessi a determinare l’ennesima spaccatura, passata sotto silenzio, del Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Unione europea dello scorso 3 marzo, basti pensare che la risoluzione adottata parla di “future sanzioni mirate” da considerare “in assenza di una soluzione concordata”, che tradotto vuol dire che ognuno farà come gli conviene… altro che sogno di una politica estera europea unica.
Più determinati gli Stati Uniti, i quali avrebbero la convenienza di portare in Europa il gas che, in caso di sanzioni, non arriverebbe dalla Russia: già nei giorni scorsi il Dipartimento di Stato ha diffuso una nota nella quale si legge che “A questo punto non stiamo solo considerando le sanzioni per le azioni della Russia, bensì è probabile che le metteremo in atto e ci stiamo preparando per questo”.
E per far vedere che non si scherza, Washington ha immesso oggi sul mercato 5 mln di barili di petrolio, cosa che ha causato tensioni e fatto scendere il prezzo del 2%.
Il Segretario di Stato John Kerry ha ribadito oggi, intervenendo ad un incontro con i legislatori di una commissione alla Camera dei deputati, che un’azione nei confronti della Russia “può diventare punitiva in fretta”, ovvero che “Non voglio entrare troppo nei dettagli, eccetto questo: può arrivare in fretta e in modo pesante se vengono fatte scelte sbagliate”. “Ci sono molte varianti – ha continuato Kerry – motivo per cui è urgente avere una conversazione con i russi per trovare una via d’uscita alla crisi”, rappresentata anche dal referendum secessionista di domenica prossima.
In Europa a spingersi in avanti è stato il Cancelliere tedesco Angela Merkel, la quale intervenendo al Bundestag ha minacciato che “se la Russia continua il suo corso delle ultime settimane, sarà non solo una catastrofe per l’Ucraina”: “Non lo vedremo solo, in quanto vicini della Russia, come una minaccia. E non cambierà solo le relazioni dell’Unione Europea con la Russia. No, questo causerà anche danni enormi alla Russia, sia da un punto di vista economico che politico”. Merkel ha comunque aggiunto che “Una cosa e’ chiara: l’intervento militare non è un’opzione”, bensì bisogna insistere sulla strategia tripartita, di “dialogo, aiuti, sanzioni”.
Putin ha risposto di essere pronto a confiscare i beni di Usa e Ue, stessa misura minacciata dai paesi occidentali. Preoccupazioni sono state manifestate, seppure in modo sommesso, dagli imprenditori russi i quali, come ha riportato l’agenzia Bloomberg, temono uno scenario “in stile Iran”.
Intanto il pomo della discordia, ovvero l’Ucraina, si trova sempre più spinta sull’orlo del baratro economico. Prima della crisi l’allora presidente Victor Yanukovich era riuscito a strappare a Mosca un prestito di 14 mld di euro, e soprattutto forti sconti sui debiti contratti per le forniture di gas: oltre ai 10 mld da restituire alla Gazprom, Kiev deve alle banche russe altri 20 mld di euro.
Oggi il numero uno del colosso del gas, Alexei Miller, ha affermato da Berlino che “Noi vorremmo che i nostri partner ucraini pagassero i debiti. Non vogliamo una crisi del gas”. “I mancati pagamenti delle forniture di gas per Gazprom rappresentano un buco nei bilanci con ripercussioni sugli investimenti per l’anno corrente e sui dividendi dei nostri azionisti. Tra i nostri azionisti ci sono tanti stranieri e i ricavi e i dividendi sono anche loro”, ha aggiunto.
“L’Ucraina – ha poi ribadito – sta attraversando una crisi molto seria, ma deve pagare i suoi debiti per il gas che ha acquistato. Le nostre azioni nei confronti dell’Ucraina sono assolutamente leali. Avremmo il diritto, da contratto, a fare appello alla clausola del pagamento anticipato, ma non abbiamo intenzione di farlo, per evitare il collasso economico dell’Ucraina e di minacciare il transito di gas verso l’Europa. Chiediamo che i nostri partner ucraini restino solvibili e non vogliamo una crisi del gas”.
Ha poi concluso dicendo che “abbiamo appreso che gli Usa hanno intenzione di supportare l’Ucraina con un aiuto di 1 miliardo di dollari, ma la Russia ha già concesso un aiuto finanziario di 5 miliardi di dollari. Lo scorso anno abbiamo garantito all’Ucraina un prestito di 3 miliardi e i restanti 2 miliardi di debito in forniture di gas sono de facto un prestito”.