La Shell costretta ad ammettere il disastro ambientale in Nigeria

di C. Alessandro Mauceri

Petrolio disastro ambientaleQualche anno fa, scoppiò uno scandalo a causa del danno ambientale di dimensioni inimmaginabili (e ancora difficili da valutare) causato dalle trivellazioni in mare aperto, nel Golfo del Messico, da parte di BP. Milioni di barili di petrolio finirono sul fondo dell’oceano causando una catastrofe ecologica di cui ancora non si conoscono le reali conseguenze. L’azienda ha accettato di pagare una multa enorme (4 miliardi e mezzo di dollari) alle autorità americane, ma la causa civile, per la quale si parla di 21 miliardi di dollari, è ancora in corso.
Intanto, nei giorni scorsi, anche se molti media non hanno diffuso la notizia come avrebbe meritato, un altro scandalo ha colpito un altro dei colossi petroliferi: la Shell.
Solo grazie all’azione di Amnesty International, infatti, si è venuto a sapere che la Shell ha ripetutamente rilasciato false dichiarazioni sulla dimensione e sulle conseguenze che stanno avendo le fuoriuscite di petrolio in due siti in Nigeria. Scopo della cortina di silenzio, evidentemente era quello di evitare di essere costretta, come nel caso della BP, a pagare risarcimenti miliardari.
I documenti dimostrano che da anni la Shell era a conoscenza del fatto che i propri impianti situati nel delta del fiume Niger erano obsoleti e difettosi. Le prime perdite risalgono al 2008, quando decine di migliaia di persone della zona di Bodo, in Nigeria, il cui habitat era stato distrutto irreparabilmente dalle fuoriuscite di petrolio, decisero di citare in giudizio la compagnia petrolifera. Nel corso del procedimento sono emerse le responsabilità dell’azienda.
Solo di recente però la Shell è stata costretta ad ammettere che la reale dimensione dei danni prodotti era sottostimata. “Amnesty International ritiene fermamente che la Shell sapeva che i dati su Bodo erano sbagliati. Se invece lo ignorava, è stata scandalosamente negligente visto che le abbiamo fornito più volte le prove che avevano enormemente sottostimato le fuoriuscite di petrolio”, ha dichiarato Audrey Gaughram, direttrice del programma Temi globali di Amnesty International. “La Shell ha rifiutato il confronto con noi e solo ora che si trova in un tribunale britannico è stata costretta a uscire allo scoperto”, ha aggiunto.
Secondo il rapporto della Shell sulla prima fuoriuscita, gli impianti avrebbero riversato nell’ambiente 1640 barili di petrolio. La stima effettuata dallo studio statunitense Accufacts Inc., Amnesty International,invece ha parlato di oltre 100.000 barili.
Solo dopo anni di udienze, la Shell è stata costretta ad ammettere che i propri dati sono “errati”. Non solo per quanto riguarda questa perdita ma anche per una successiva fuoriuscita, sempre a Bodo.
Negli atti giudiziari, la Shell ha ammesso che i propri dati erano errati per quanto riguarda questa e una successiva fuoriuscita, sempre a Bodo nel 2008. Ma la cosa più preoccupante è che questa ammissione pone in dubbio i dati forniti dalla Shell anche su centinaia di altre fuoriuscite di petrolio in Nigeria e in altre parti del mondo: “Per anni, la Shell ha stabilito nei suoi rapporti d’indagine quanto petrolio era fuoriuscito e quanti danni erano stati fatti.” ha detto Gaughram, “ora, quei rapporti valgono meno della carta su cui sono stati scritti e hanno preso in giro intere comunità privandole del giusto risarcimento”.
Le decine di migliaia di abitanti del delta del fiume Niger, la popolazione di Bodo, sono riuscite a far emergere la verità solo dopo aver citato la Shell presso un tribunale del Regno Unito. Resta ancora da capire quali siano realmente le dimensioni del danno ambientale prodotto dalla Shell. Stando agli atti giudiziari in possesso di Amnesty International, infatti, le prime fuoriuscite di petrolio sarebbero da far risalire addirittura al 2002. In un documento interno del 2009, un impiegato della Shell metteva in guardia la compagnia dai danni derivanti dal fatto che, da oltre un decennio, “sugli oleodotti dell’Ogoniland non c’è stata manutenzione adeguata né una verifica della loro integrità”.
“L’inquinamento prodotto dalla Shell ha devastato abitazioni, fattorie e bacini di pesca così come ha compromesso la possibilità delle famiglie di mandare i bambini a scuola e di far trovare cibo in tavola”, ha sottolineato Gaughram.
Come nel caso della BP, e molti altri, il problema ora sarà quantificare (ammesso che sia realmente possibile) i danni causati sull’ambiente e sulle persone (centinaia di migliaia che vivono in quella zona).
L’unica certezza è che, ancora una volta, la vita di centinaia di migliaia di persone è stata distrutta a causa dell’avidità di pochi individui che hanno operato al solo ed unico scopo di far crescere gli utili di multinazionali senz’anima.