Leggere Kishore Mahbubani: il mondo (occidentale) da un’altra prospettiva

di Dario Rivolta * –

Se si vogliono ottenere buoni risultati in una negoziazione internazionale, sia essa commerciale o politica, è indispensabile capire bene quali siano i veri interessi dell’interlocutore (anche quelli non dichiarati) e le sue “linee rosse”. Per farlo, bisogna cercare di “entrare” nella sua testa, conoscere le radici culturali in cui è cresciuto e, soprattutto, sapere come lui vede noi e il mondo di cui noi siamo il frutto. Al contrario, l’errore più comune e più controproducente in cui cadere è di guardare la negoziazione attraverso le nostre lenti di lettura proiettando sull’altro i nostri stessi canoni di giudizio e presumendo l’esistenza di comuni valori.
Purtroppo, quando dall’occidente guardiamo all’Asia e al resto del mondo, non siamo abituati a spogliarci dei nostri pregiudizi e delle nostre abitudini culturali. Ancora peggio: ci sembra scontato che il nostro modo di vedere il mondo sia l’unico possibile o almeno il migliore di ogni alternativa.
Chi volesse tuttavia gettare almeno uno sguardo su come gli asiatici vedono il mondo occidentale farebbe bene a leggere un libro di Kishore Mahbubani: “Occidente e Oriente: chi perde e chi vince”.
Mahbubani è un “mediatore culturale” perfetto essendo stato per trent’anni un diplomatico di Singapore ma arrivando anche a fungere anche da Presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La sua formazione culturale cominciò nella stessa Singapore con una laurea in filosofia e una tesi di Master sul confronto tra Karl Marx e John Rawls. Ha studiato la letteratura europea, quella indiana e quella cinese e parla diverse lingue. Tra l’altro, ha insegnato in America ad Harvard ed è stato rettore e professore della Lee Kuan Yew School of Public Policy (Singapore). Ha inoltre scritto diversi libri, compreso uno su Machiavelli. Foreign Policy lo ha incluso nella lista dei maggiori intellettuali del mondo e il Financial Times lo considera tra i cinquanta economisti in grado di dibattere sensatamente sul futuro dell’economia capitalista.
Il suo giudizio sull’Occidente parte dal presupposto che il più grande dono che abbia dato al mondo è la potenza del ragionamento logico. Modalità oramai fatta propria anche dall’Oriente ma tuttavia abbandonata man mano proprio da noi: “…L’Occidente ha perso la capacità di porsi domande fondamentali e si è rifugiato in una bolla auto-referenziale e auto-compiacente…”.
Nel volume sopra citato ci ricorda che dall’inizio della storia fino al XIX secolo le due maggiori economie del mondo furono Cina e India e solo negli ultimi due secoli l’Europa e il mondo anglo-sassone sono diventati dominanti politicamente ed economicamente. Questa situazione è però in netto ribaltamento, soprattutto negli ultimi due decenni. La fetta di PIL mondiale nel 1980 era nettamente a favore dell’Occidente allargato (includendo Giappone e Corea del Sud, considerati politicamente “occidentali”) con una quota superiore al 60%, ma oggi quella fetta è scesa a meno del 40% e si sta continuamente contraendo a favore delle economie dei Paesi emergenti. Già nel 2015 i membri del G7 hanno contribuito alla crescita globale per un 31,7% mentre i Cina+ India+ Brasile+ Messico+ Russia+ Indonesia e Turchia (E7) arrivavano al 36,3%. In termini di potere d’acquisto, nel 1980 la Cina stava a un decimo dell’economia americana, dal 2014 è diventata la più grande economia del mondo.
A conferma dell’inversione di tendenza esistono indagini che, ad esempio, hanno appurato che nel 2016 il 90 percento dei giovani indonesiani si dichiarava felice mentre in Europa lo era solo il 57 percento dei loro coetanei. È chiaro a tutti che la sensazione di potenziale felicità nasce più dalle aspettative sul futuro che dalle condizioni del momento.
Mahbubani individua una cecità delle élite occidentali nel fatto che da noi si continui a credere che l’evento più importante nella storia recente del mondo sia stato l’11 settembre 2001 (Torri Gemelle). Pur attribuendo nel mondo occidentale la presenza di ottime università e di valenti intellettuali, si stupisce che non si sia colta l’assoluta importanza sugli sviluppi futuri del mondo nell’adesione della Cina al WTO. È stato questo avvenimento che ha portato all’inizio della decadenza economica. Non lo dice solo lui ma anche la Banca dei Regolamenti Internazionali in un rapporto ufficiale del 2017: l’ingresso di un miliardo di nuovi e molto produttivi lavoratori nel sistema mondiale degli scambi ha avuto come risultato una massiccia “distruzione creativa” e la perdita di molti posti di lavoro in Occidente. Da qui la crescente instabilità politica e l’impoverimento economico, I populismi e le lotte tra poveri che devastano le nostre società. Un dato interessante (cita uno studioso americano) è il seguente: “In media nel 1965 l’Amministratore Delegato (CEO) di un’azienda statunitense guadagnava 20 volte il salario di un suo operaio. Nel 2013, sempre in media, quel rapporto è diventato di 296 volte”. Esattamente ciò che è continuato ad avvenire anche in Europa contribuendo ad esasperare i conflitti sociali.
In merito alla convinzione molto diffusa tra noi che i cinesi soffrano tutti a causa di un regime eccezionalmente dispotico, ecco cosa scrive: “Se questa percezione occidentale fosse vera, come farebbero a viaggiare all’estero 100 milioni di cinesi? …E poi, 100 milioni di cinesi tornerebbero a casa liberamente se si sentissero davvero oppressi?”. Ciò non nega che anche in Cina si manifestino numerosi casi di malcontento popolare, ma forme di protesta, a volte violente, capitano anche nei nostri Paesi democratici e la sola (importante) differenza sta nel come i governi vi reagiscono.
A proposito di visioni strategiche, Mahbubani è molto chiaro. Secondo lui “L’intervento più incauto è stato invadere l’Iraq nel 2013. In teoria la guerra in Iraq è avvenuta a seguito dell’11 settembre. In pratica, è stata solo una dimostrazione dell’arroganza e dell’incompetenza strategica dell’Occidente, e degli USA in particolare. Distruggendo Saddam e attaccando i talebani, gli Stati Uniti hanno dato un grande aiuto alla potenza iraniana… e hanno creato un colossale pasticcio. L’Iraq è oggi diventato l’esempio da manuale di come non si invade un Paese. Lee Kuan Yew, Primo Ministro di Singapore e amico degli americani ha notato sarcasticamente che persino i giapponesi hanno saputo fare di meglio durante la seconda guerra mondiale”.
A suo giudizio, un secondo e importante errore strategico Occidentale “è stato mortificare ulteriormente la già umiliata Russia”. Cita Churchill che sosteneva che “nella vittoria occorre magnanimità”. Al contrario, dopo aver vinto la Guerra Fredda l’occidente ha voluto estendere la NATO fino ai confini della Russia. A questo proposito, Thomas Friedman (è sempre Mahbubani a citarlo) sul New York Times del 4 marzo 2014 (dopo Maidan) scriveva: “Mi sono battuto contro l’espansione della NATO fino ai confini della Russia dopo la guerra fredda, quando la Russia era in assoluto la più democratica e la meno minacciosa di sempre. Resta una delle cose più stupide che abbiamo mai fatto e, ovviamente, ha gettato le basi per l’ascesa di Putin”.
Un altro aspetto che il colto diplomatico singaporiano tocca è l’accusa lanciata alla Russia di aver cercato di interferire nel 2017 nelle elezioni presidenziali americane: “Nessun leader americano si è posto la domanda: ma gli USA non si sono mai resi colpevoli di interferenze nelle elezioni di altri Paesi?” E si risponde citando uno studio dell’Institute of Politics and Strategies della Carnegie Mellon University (2016) che ha appurato che dal 1946 al 2000 sono stati documentati ben più di ottanta casi di interferenze americane (in Italia ne sappiamo qualcosa).
Il terzo punto da lui considerato un errore di valutazione dell’Occidente sono le cosiddette “rivoluzioni colorate”: Un elenco parziale include: Jugoslavia (2000- Bulldozer), Georgia (2003- Rose), Ucraina (2005- Arancione e 2014- Maidan), Iraq (2005- Porpora), Kirghizistan (2005- Tulipani), Tunisia (2010- Gelsomini), Egitto (2011- Loto). Senza contare Libia e Siria. Precisa che alcune di queste “rivoluzioni” furono generate internamente ma l’Occidente si è precipitato a sostenerle in nome dell’”esportazione della democrazia”. Esportazione che non ha mai riguardato Paesi “amici” come, ad esempio, l’Arabia Saudita e (forse) la Turchia.
Garcia Marquez, dopo l’11 settembre scrisse al presidente Bush: “… Come ti senti adesso che l’orrore sta scoppiando nel tuo cortile e non nel soggiorno del tuo vicino… Lo sai che tra il 1824 e il 1994 il tuo Paese ha compiuto 73 invasioni in Paesi dell’America Latina…Per quasi un secolo il tuo Paese è stato in guerra con il mondo intero… Come ci si sente, Yankee, a scoprire che con l’11 settembre la lunga guerra alla fine è arrivata a casa tua?”.
Naturalmente il libro di Mahbubani contiene molte altre considerazioni di un orientale che ci sono utili conoscere. Si badi bene, lui non è un nemico dell’occidente ed è persino stato eletto membro della prestigiosa Accademia Americana delle Arti e delle Scienze. È semplicemente qualcuno che ci guarda da un altro punto di osservazione e, in più circostanze, si rammarica per quelli che giudica essere i nostri errori.
Il libro si conclude con un’osservazione molto interessante sulla diversità di interessi non sempre conciliabili di Stati Uniti ed Europa e con il suo stupore nel vedere come le élite europee seguano pedissequamente le volontà americane, anche se spesso costituiscono un danno per il Vecchio Continente.
Leggere Kishore Mahbubani ci costringe a una nuova prospettiva, attraverso lo specchio asiatico e mondiale e ci offre diverse lenti analitiche per osservare il globo nel quale viviamo.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.