Libia. Gentiloni in audizione, ‘l’accordo è nelle mani dei libici’. Ma per ora rimane solo sulla carta

di Enrico Oliari –

libua guerra gentiloni leon grandePermane difficile la situazione politica in Libia, dove stenta a prendere piede l’accordo promosso dal mediatore dell’Onu Bernardino Leon e sottoscritto dalle parti, cioè dal governo “di Tripoli”, islamista, riconosciuto da Qatar e Turchia e con a capo Khalifa al-Ghweil, e quello “di Tobruk”, frutto delle elezioni del giugno 2014, riconosciuto dalla comunità internazionale e con leader Abdullah al-Thinni.
L’accordo ha portato al proposito un governo di unità nazionale con premier Faiz al-Siraj, che però non esce dal foglio su cui è scritto, ed il motivo è da ricercarsi nelle pressioni che stanno esercitando le minoranze in una realtà, quella libica, frammentata in tribù ed in clan.
La cosa è stata denunciata dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni in occasione dell’audizione davanti alle commissioni Esteri e Difesa della Camera, per cui “Quando si dice che ci sono pressioni di minoranze” contro un accordo di unità nazionale in Libia, significa che “il contesto non è tranquillo e pacifico, e le pressioni sono anche fisiche e militari”.
Addirittura “Le delegazioni impegnate nei negoziati in Marocco sono state spesso oggetto di attacchi militari nei percorsi tra le loro città e gli aeroporti”, ha spiegato il capo della Farnesina, il quale ha aggiunto che l’accordo è ora “nelle mani dei libici” e “nessuno può imporlo dall’esterno”.
Leon, il cui mandato è ormai finito, terrà comunque nuovi incontri in Marocco ed in Libia al fine spingere per la realizzazione di quanto stabilito nei numerosi ed estenuanti incontri precedenti e, come ha sottolineato Gentiloni, giungere ”ad una stretta conclusiva” per “uscire dalle ambiguità”.
Il ministro italiano ha ricordato che l’Italia avrà un ruolo centrale nell’attività di “pianificazione che riguarda la sicurezza e la stabilizzazione di un eventuale governo di accordo nazionale”, precisando che “L’impegno sarà graduale” e comunque, come da accordi, avrà inizio inizio “40 giorni dopo l’istituzione del governo nazionale in Libia”. Gentiloni ha sottolineato che “tutti riconoscono al nostro paese, per ragioni geografiche e di qualità del nostro strumento militare e dei rapporti politico-diplomatici, il nostro ruolo” nell’area.
Ieri Leon ha detto da Tunisi che il processo negoziale “va avanti” e che “Il dialogo continua. Molto presto ci auguriamo che il governo proposto sarà a Tripoli. Il processo è vivo e ci sarà una soluzione politica per la Libia”. Ha quindi confermato che vi saranno incontri anche nei prossimi giorni.
L’immagine che se ne trae mostra le parti fare pressioni fino all’ultimo per portare a casa il più possibile, un puntare i piedi calcolato ma nel contempo pericoloso, perché potrebbe far saltare la struttura messa in piedi con tanta fatica da Leon.
Il nuovo “Governo di accordo nazionale”, ancora non approvato dai due parlamenti, vede come premier Faiz al-Siraj, già ministro nel governo “di Tobruk”, tre vice-primi ministri che partecipano al “Consiglio di Presidenza” di guida del gabinetto, cioè Ahmed Maetiq, di Misurata, membro Congresso “di Tripoli” e quindi rappresentante della Tripolitania, Moussa Kony, rappresentante del Fezzan, indipendente, e Fatj Majbari, rappresentante della Cirenaica.
La situazione reale mostra tuttavia un paese ancora in guerra, dove i miliziani delle varie tribù hanno alzato le barricate anche fisiche contro l’accordo, convinti ognuno delle proprie ragioni e soprattutto di poter prendere da soli il governo di un paese frammentato e diviso.