Libia. Intervista all’ambasciatore d’Italia a Tripoli Giuseppe Perrone, ‘necessario spersonalizzare la politica’. Salamé? ‘Ha un approccio giusto’

a cura di Vanessa Tomassini –

La situazione libica, dopo la caduta del regime di Muhammar Gheddafi nel 2011, è estremamente frastagliata e complessa, sotto tutti i punti di vista. Il primo fattore che spiega la sua complessità, dal punto di vista geografico, è l’estensione della sua superficie, tanto vasta da renderlo il quarto Paese africano e il diciottesimo al mondo per dimensioni fisiche. Durante la sua storia è stata sempre considerata un’unica regione, ma ha in più occasioni visto l’esistenza di due territori importanti, la Tripolitania e la Cirenaica, con culture ed ideologie diverse e soventemente completamente opposte. Tuttavia gli invasori, i colonizzatori e i dittatori, che si sono susseguiti nel corso dei secoli, hanno sempre trovato comodo considerarla come un’unica entità. L’ex colonia italica si affaccia sul Mediterraneo intorno al Golfo della Sirte, tra il decimo e il venticinquesimo meridiano Est. Dal punto di vista politico il Paese è diviso in due principali governi: il Consiglio presidenziale di Tripoli, riconosciuto dalla Comunità internazionale e con a capo Fayez al-Serraj, e la Camera dei rappresentati di Tobruk, che ha come presidente Aguila Saleh Issa. Nonostante la forza del Libyan National Army, che non è riuscito fino ad oggi ad inglobare tutte le milizie armate presenti in Libia, la situazione del Paese dopo il 2011 è sprofondata in una pesante crisi, economica, sanitaria e soprattutto di sicurezza, che risulta essere totalmente assente in alcune zone del sud, dove clan armati si scontrano per diverse ragioni l’uno con l’altro. Approfittando di questo caos, il Paese è divenuto terreno fertile per il proliferare delle idee della galassia jihadista, in particolare Isis e al-Qaeda che, come ha spiegato il procuratore generale libico Sadek Assour in una recente conferenza stampa nella capitale, hanno trovato rifugio nel deserto del Sahara e in diverse città. Proprio ieri si è registrato l’ultimo attentato terroristico nella città di Misurata che ha causato diversi morti e circa una ventina di feriti, soccorsi dalle autorità sanitarie dell’ospedale da campo della stessa città, gestito da una missione italiana. L’escalation di violenze e il clima di insicurezza hanno portato le rappresentanze diplomatiche occidentali ad abbandonare il Paese, nel corso degli anni. Solamente a gennaio di quest’anno l’Italia ha riaperto la sua ambasciata a Tripoli, chiusa per ben due anni. Un segnale di amicizia al popolo libico, ma anche di forte fiducia nel processo di stabilizzazione del Paese attraverso il quale transita gran parte dei flussi migratori illegali dal Continente africano diretti verso le coste italiane. Da gennaio ad oggi sono state tantissime le attività portate avanti dalla squadra diplomatica italiana in nome della riconciliazione e nel cercare di migliorare le condizioni di vita del popolo libico, afflitto da innumerevoli sofferenze. Per cercare di comprendere a pieno la complessità di tutti i fenomeni libici, anche in relazione ai recenti incontri diplomatici, abbiamo raggiunto l’ambasciatore Giuseppe Perrone, con il quale abbiamo approfondito gran parte dei punti di maggior interesse e attualità.

-Ambasciatore Perrone, Quali sono le attività della nostra ambasciata? Quali le missioni italiane attive in Libia oggi?
L’ambasciata d’Italia a Tripoli, essendo l’unica ambasciata occidentale tuttora presente, ha una gamma molto vasta di attività in corso, che noi stessi facciamo fatica a capire, tanto è grossa questa mole. Si tratta naturalmente di seguire il processo politico quindi il nostro sostegno, il nostro impulso al dialogo politico in corso per superare la divisione di fatto che c’è ancora nel Paese, quindi tutte le iniziative atte a promuovere la riconciliazione, ma al tempo stesso, l’Italia tramite l’ambasciata a Tripoli, è molto impegnata sul versante della promozione della stabilità e della sicurezza. Naturalmente le iniziative per il controllo dei flussi migratori illegali e per il contrasto al traffico di esseri umani rappresentano un punto molto in alto della nostra agenda operativa. Questo è un aspetto che include diversi tipi di iniziative, da quelle prettamente securitarie, volte a rafforzare le capacità delle agenzie sicurezza libiche, ad altre iniziative che invece hanno un carattere di sviluppo, atte a sostenere le comunità colpite dai fenomeni di illegalità. La presenza dell’Italia, quale unico Paese occidentale a Tripoli, e in Libia, è particolarmente avvertita ed apprezzata dal popolo libico. L’Ambasciata, con tutte le sue attività che riguardano la concessione dei visti di ingresso -ancora come unico Paese – e con i suoi servizi alla popolazione è vista come un riferimento costante ed affidabile dal popolo libico. Per quanto riguarda le missioni italiane nel Paese abbiamo un’importante missione sanitaria, umanitaria nella città di Misurata con l’ospedale da campo che è ancora aperto nella città e fornisce cure e assistenza ai feriti. Ieri c’è stato un attentato terroristico ed il nostro ospedale si è affrettato a prestare assistenza alle persone colpite dall’attacco. Abbiamo poi la missione navale, che è stata recentemente approvata dal governo Italiano e che si trova qui a Tripoli, che sta fornendo un aiuto sostanziale alla Marina e alla Guardia costiera libica, aiutandole a rimettersi in piedi e a rafforzare la propria capacità di esercizio della sovranità libica in tutti gli ambiti e in tutte le regioni del Paese”.

-In Libia sappiamo esserci una forte assenza di sicurezza. Cosa significa questo per Lei e per i nostri funzionari? Vi siete mai trovati in situazioni di pericolo?
Naturalmente la Libia ha un’estrema frammentazione della sicurezza mancando ancora un esercito unificato e che lavori sotto una catena di comando riconoscibile e riconducibile all’autorità politica. Questo comporta delle sfide e dei problemi. Comporta episodi di assenza di sicurezza e un rischio accentuato del quale noi siamo assolutamente consapevoli. L’ambasciata d’Italia lavora in Libia con un sistema di protezione adeguato e questo si inquadra nell’investimento politico che il nostro Paese fa – lo fa in Libia e lo fa in sicurezza – mettendo in piedi tutto ciò che è necessario per consentire alla missione diplomatica di funzionare. Ci sono sicuramente delle situazioni di rischio, ma ogni volta vengono affrontate con grande professionalità dal personale addetto e in cooperazione con i servizi competenti libici che hanno sempre assicurato una collaborazione e una presenza assolutamente efficiente”.

-L’intervento straniero non è sempre visto di buon occhio da molti libici. Dopo la notizia dell’approvazione della missione navale italiana, alla quale accennava prima, sappiamo ci sono state delle proteste. La recente visita a Roma del generale Khalifa Haftar ha scontentato qualcuno?
È vero che la missione navale è nata con un’accoglienza mista, in cui ci sono state diverse critiche soprattutto nell’est del Paese per un timore di ingerenza esterna. Quando abbiamo spiegato in maniera pervasiva e a tutti gli attori del Paese in cosa consisteva questa missione, che era cioè volta a rafforzare la sovranità della Libia piuttosto che a indebolirla, è cambiata completamente anche la sua percezione. Rispetto ad un messaggio di sostegno alla Libia, l’accoglienza che abbiamo trovato è stata estremamente favorevole ed abbiamo già visto dei risultati notevolmente importanti, dando un contributo essenziale alla riduzione dei flussi migratori illegali verso l’Europa. Ieri, ad esempio, la prima nave della Marina libica è uscita in mare dopo tanto tempo. Stiamo aiutando i corpi della difesa libica a rimettersi in sesto”.

-Il nostro giornale, seguito da altri media della stampa internazionale come il The Guardian, ha dato notizia di alcuni video proposti dal blog americano Just Security che dimostrerebbero la responsabilità dell’uomo forte di Tobruk in diverse esecuzioni sommarie, dopo la condanna del Tribunale di Giustizia Internazionale del comandante al Werfalli. Crede ci sarà un seguito per Haftar?
Un seguito ci sarà sicuramente perché c’è un’indagine in corso. Le accuse sono molto serie e approfondite, quindi andranno evidentemente esplorate in tutta la loro portata. Chi verrà coinvolto io non glie lo so dire perché non posso pregiudicare i risultati di un’inchiesta, ma è sicuramente un’indagine molto seria che la Corte Penale Internazionale – di cui l’Italia è membro fondatore – affronterà con la massima professionalità”.

-Di recente, è stato confermato dal nostro governo il pieno supporto all’iniziativa della Missione in Libia delle Nazioni Unite (UNSMIL). È prevista una missione con militari italiani nel Sud del Paese?
No, quello che è previsto è un’attività di sostegno a tutto campo, anche per il sud del Paese, nella convinzione che l’immigrazione illegale non può essere contenuta se non si interviene per la sicurezza dei confini meridionali. L’obiettivo della nostra strategia è proprio questo, cioè quello di rafforzare le capacità libiche nel controllo dei confini meridionali del Paese. In questo senso, stiamo lavorando con la Guardia di frontiera e con tutti i servizi competenti libici affinché ci sia questo salto di qualità nella capacità di controllo delle frontiere meridionali, ma questo non prevede una presenza militare italiana nel territorio libico, ma riguarda un sostegno alle agenzie e alle forze libiche che si occupano del controllo del territorio e dei confini”.

– Il rappresentante speciale UNSMIL, Ghassan Salamè, ha aperto il processo politico a tutti, escludendo solamente gli estremisti per loro stessa scelta. Ritiene possibile un ritorno della famiglia Gaddafi? In particolare Saif al-Islam, figlio prediletto del rais, come potrà aggirare la condanna della Corte Internazionale di Giustizia?
Ghassan Salamè ha adottato l’approccio giusto, cioè quello di promuovere un processo inclusivo, in cui tutti quelli che vogliono partecipare in maniera sincera, e disponibili al confronto con gli altri, vengono accolti. Perché la Libia oggi ha bisogno di tutti, ha bisogno di recuperare questa frammentazione e divisione interna. Quanto ai singoli individui, non glie lo saprei dire. Per quanto riguarda il signor Saif al-Islam Gheddafi c’è anche su di lui un mandato di cattura internazionale. Ho visto che Ghassan Salamè ha fatto alla stampa un discorso di apertura a tutti i libici, anche nei confronti dei seguaci del precedente regime, ma ci sono delle procedure giuridiche internazionali che faranno sicuramente il loro corso”.

– Riferendoci a questo “aperto a tutti”, crede che anche il partito “Justice and Construction”, che rappresenta la Fratellanza Musulmana in Libia, capitanata da Mohamed Sowan, correrà per le elezioni?
Questo bisognerebbe chiederlo a Mohamed Sowan, ma immagino che un approccio inclusivo significhi che tutti coloro che intendono partecipare in maniera pacifica e costruttiva al processo politico, abbiano la possibilità di farlo. Quelli che sono esclusi sono coloro che ricorrono all’uso delle armi e che intendono cambiare lo scenario politico libico attraverso il ricorso alla violenza, o che intendono perseguire fini politici attraverso il confronto militare”.

– Esiste per lei una figura forte attualmente in grado di raccogliere il consenso popolare e quello delle autorità sociali delle tribù?
Io spersonalizzerei la politica libica, che in questo momento soprattutto ha bisogno di trovare intesa, riconciliazione e capacità al confronto degli uni con gli altri. Anche le personalità più forti, che hanno un grande seguito, suscitano delle fortissime resistenze in altre parti del Paese. Per cui, piuttosto che personalizzare, o cercare di individuare una soluzione ai problemi libici con l’incarico ad una sola persona, bisogna fare in modo che la soluzione emerga da un’autentica disponibilità al compromesso e alla riconciliazione tra i libici, in maniera tale che le regole del gioco che verranno definite, verranno poi rispettate da tutti”.

– C’è o non c’è un dibattito in corso, all’interno del Viminale, se riaprire i nostri cieli alla Libia? O meglio, crede che verranno ristabiliti i collegamenti aerei con Tripoli nel breve termine?
“Io spero assolutamente di sì. Questa è una priorità che viene avvertita al massimo livello sia dal governo italiano, sia dal Governo libico ed è stata esplicitata più volte anche nei recenti vertici italo-libici, ed è una questione che richiede delle risposte tecniche, affinché si possa addivenire a una ripresa dei voli diretti, in primis con l’Italia, perché i libici hanno questa fortissima aspettativa nei nostri confronti. Sarebbe un avvenimento di altissima portata simbolica proprio perché segnerebbe, in qualche modo, la fine dell’isolamento a cui il popolo libico, per troppo tempo, è stato confinato”.

-La prego di concederci un’ultimissima domanda. Ci sono novità riguardo gli interessi vantati dagli imprenditori italiani in Libia?
L’Italia è l’unico Paese che ha detto in maniera esplicita, attraverso il suo ministro degli Esteri, che noi non aspettiamo condizioni di armonia eterna, o stabilità duratura, per poter riprendere le nostre relazioni economiche con la Libia. Intendiamo fare già da subito, ovviamente in maniera graduale, rispettando le condizioni di sicurezza sul terreno. Anzi lo stiamo già facendo. L’Italia è il Paese che più di ogni altro è impegnato nella ripresa della collaborazione economica con la Libia, nella consapevolezza che la crescita economica è uno degli ingredienti, dei fattori più determinanti per la stabilizzazione del Paese. Naturalmente siamo anche consapevoli dei problemi pregressi, che i diversi imprenditori italiani hanno sofferto in Libia, per questo motivo stiamo anche cercando con le autorità del Paese una soluzione complessiva, che possa poi permettere all’insieme delle relazioni economiche-commerciali tra i nostri due Paesi di dispiegare in maniera piena il loro potenziale”.