Libia. La comunità internazionale riprova a far uscire il paese dal marasma

di Guido Keller –

libia mogherini grandeIl 18 giugno dello scorso anno, in occasione del G8 di Lough Erne, la comunità internazionale ha dato incarico all’Italia di districare la complessa situazione libica, paese dove ormai regna il caos più assoluto. Il governo di Tripoli, retto da un premier, Alì Zeidan, perennemente sull’orlo delle dimissioni forzate, di fatto controlla ben poca parte della nazione, basti pensare che nel paese spirano i venti di secessione della Cirenaica e del Fezzan; le varie tribù, costantemente in lotta fra di loro, guardano esclusivamente alla propria realtà e non si sentono partecipi di una logica nazionale; l’esercito e le forze di sicurezza sono disastrati al punto che militari e poliziotti vengono addestrati dagli italiani sul posto e a Cassino; nel paese scarrozzano ancora centinaia di milizie autonome, rimasugli della rivoluzione del 2011 che non hanno accettato l’invito di consegnare le armi e di fondersi nell’esercito nazionale; violenze, attentati e rapimenti sono all’ordine del giorno; la produzione di petrolio, unica risorsa del paese, è messa in ginocchio di continui scioperi e dalle proteste delle minoranze etniche; nella parte meridionale della Libia è aperto un corridoio dove passa ogni genere di traffico illecito; qua e là vi sono gruppi di jihadisti e persino campi dove vengono addestrati i giovani per combattere in Siria; nel deserto vagano interi reparti di militari fedeli all’ancien regime, che di tanto in tanto entrano in conflittualità con le tribù o con l’esercito libico; numerose sono le proteste dei cittadini nei confronti dell’alto tasso di corruzione, della mancanza di sicurezza e per le lungaggini di un’Assemblea nazionale che ancora non ha licenziato la Costituzione, trasformando il proprio carattere transitorio in quello di un organo stabile.
Si potrebbe continuare a lungo sul marasma libico, ma sarebbe un errore sottovalutare il difficile quadro del dissesto sociale di un paese dove, di fatto, la popolazione non ha mai lavorato, ricevendo tutto dallo Stato (Socialismo Verde): la forza lavoro veniva garantita dai numerosi immigrati di ogni nazionalità, costretti alla fuga dalla rivoluzione e dalle violenze.
La situazione è esplosiva al punto da richiedere l’intervento della comunità internazionale e ieri alla Farnesina si è tenuta una conferenza internazionale alla quale hanno preso parte , oltre al ministro degli Esteri Federica Mogherini, il primo ministro e il ministro degli Esteri libici, il vice-segretario delle Nazioni Unite Jeffrey Feltman, 35 ministri degli esteri di vari paesi fra i quali lo statunitense John Kerry, il russo Sergei Lavrov, e i capi di sette organizzazioni internazionali impegnate nel processo di transizione politica in Libia.
E proprio ieri si è appreso che il Niger ha consegnato alle autorità di Tripoli il terzo figlio di Gheddafi, Saadi, ai suoi tempi comandante delle Forze Speciali libiche, il quale era riuscito a rifugiarsi nel paese africano attraversando il deserto.
La conferenza era stata voluta dall’ex ministro degli Esteri Emma Bonino, la quale ha lasciato in eredità al nuovo ministro Mogherini una linea che prevede
– la conferma del sostegno internazionale alla transizione politica e al dialogo nazionale, nel rispetto della “ownership” libica;
– la conferma del ruolo di impulso e coordinamento della missione Onu Umsil anche per propiziarne un rafforzamento del mandato;
– il rilancio degli impegni assunti alla Conferenza di Parigi in termini di assistenza al consolidamento istituzionale e alla cornice di sicurezza.
In uno dei testi di presentazione è scritto che “il persistente blocco del processo politico in Libia e l’assenza di concreti progressi nei processi di transizione e stabilizzazione del Paese unite al crescente deterioramento della cornice di sicurezza e, allo stesso tempo, la crescente preoccupazione per le conseguenze negative che il ritardo nel decollo della “nuova Libia” sta comportando per la sicurezza (regionale e non solo), hanno confermato come la convocazione della Conferenza appaia particolarmente utile in questa delicata fase del processo di transizione, per segnalare che tale contesto non scoraggia – anzi motiva ulteriormente – la comunità internazionale ad impegnarsi attivamente a sostegno della Libia”.
La stabilizzazione della Libia e dei suoi confini è la condicio sine qua non possano riprendere le normali attività di produzione e di commercio del paese, il quale ne trarrebbe il beneficio dello sviluppo e del benessere: accanto all’acquisto e quindi alla vendita del petrolio, va messa la costruzione di infrastrutture come strade, ospedali quant’altro possano contribuire a fare della Libia un paese normale; nell’incontro del 4 luglio fra il premier Enrico Letta e l’omologo Ali Zeidan, erano state rivalutate le 11mila intese fra l’Italia e la Libia, per un valore di 110 mld di dlr, ma sono molti i paesi che operavano prima della rivoluzione e che oggi scalpitano per poter tornare a svolgere le proprie attività in Libia.
Fra le conclusioni dell’incontro di ieri a Roma vi sono la raccomandazione rivolta a Tripoli “dell’urgente priorità di garantire la sicurezza lungo i confini, anche con l’implementazione delle raccomandazioni del tripoli Action Plan del 2012, firmato dalla Libia e dai suoi vicini” e “Vengono salutati con favore gli impegni presi su questo versante alla conferenza di Rabat del 2013, che includono la costituzione di un Segretariato permanente e di un centro di formazione regionale per le guardie di confine. Va migliorata inoltre la sicurezza sui confini terreni, marittimi e aerei della Libia, vitale per migliorare la sicurezza regionale”.
A questo proposito, i partecipanti alla Conferenza di Roma “hanno chiesto alle autorità libiche di velocizzare il completamento di un sistema elettronico integrato di controllo dei confini e di sviluppare una efficace strategia integrata di gestione delle frontiere, con l’attiva assistenza e cooperazione dei paesi della Regione e di Eubam. In questa cornice, particolare attenzione è stata data alla crescente minaccia terroristica nell’area. La continua partnership internazionale nel contrasto a questa minaccia e per il rafforzamento delle capacità dello Stato, è essenziale per garantire la sicurezza e la stabilità della regione”.