Libia. Migranti: corsa dell’Italia per migliorare l’accordo di Minniti

Con oggi l’intesa si è rinnovata automaticamente, ma servono garanzie per il rispetto dei diritti umani.

di Enrico Oliari

Più dei “porti chiusi” di Matteo Salvini, in questi ultimi anni ha bloccato l’immigrazione via mare in Italia l’intesa stretta con la Libia del governo riconosciuto di Tripoli dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, premier Paolo Gentiloni.
La domanda che oggi, giorno del rinnovo automatico dell’accordo, in molti si pongono è a quale prezzo, dal momento che coloro che dall’Africa transitano per la Libia sono venduti e rivenduti di tribù in tribù e da milizia in milizia, fino ad essere rinchiusi in prigioni-lager in cui subiscono ogni sorte di angheria, dove gli uomini vengono bastonati e umiliati e le donne stuprate.
Sulle spalle dei migranti in fuga dai loro paesi è in corso un vero e proprio business, che spesso permette alle popolazioni della Libia meridionale di colmare i mancati introiti dovuti al venir meno del Socialismo Verde di Muammar Gheddafi in territori circondati solo di sabbia. Tuttavia per le milizie le estorsioni e i ricatti rivolti agli stessi malcapitati si traducono con l’acquisto di armi e con il finanziamento del traffico di stupefacenti e di altro.
L’accordo con la Libia, che scadrà tra tre mesi ma il cui rinnovo è automatico da oggi, viaggia di pari passo con altre iniziative messe in piedi da Minniti, tra cui il miliardo di euro dato dall’Unione Europea al Niger per bloccare i migranti prima che possano raggiungere la Libia.
Il governo in carica, guidato da Giuseppe Conte, sta chiedendo quindi alla Libia di riunire la commissione congiunta di contrasto all’immigrazione clandestina formata dalla delegazioni dei due paesi al fine di limare alcuni punti dell’accordo, ovvero di “migliorarlo per ciò che concerne l’osservazione dei diritti umani”. Per la parte italiana dovrebbero presentarsi il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e quello dell’Interno Luciana Lamorgese, e già da Tripoli è arrivata “piena disponibilità” a sedersi al tavolo, come ha comunicato il consigliere per la stampa del presidente del Governo di accordo nazionale, Hassan al-Honi.
L’accordo sottoscritto nel 2017 riguarda la cooperazione per il contrasto all’immigrazione clandestina e l’aumento della sicurezza, ed ha comportato la cessione da parte dell’Italia alla Libia di mezzi per la Guardia costiera, in realtà spesso gestiti da milizie colluse con i trafficanti, nonché denaro per finanziare le strutture di accoglienza. Tuttavia i centri libici per migranti si sono rivelati vere e proprie prigioni sovraffollate dove il diritto umano è a livello zero e dove la vita delle persone ha scarso valore: difficilmente questi centri sono accessibili per le organizzazioni umanitarie, e questo è un altro punto su cui l’Italia intende intervenire.
Va detto che la questione migranti in Libia è diventata secondaria dopo che in aprile il generale “di Trobruk” Khalifa Haftar ha mosso la sua offensiva su Tripoli, finanziato e sostenuto con le armi in particolare da Egitto ed Emirati Arabi Uniti, in barba alle disposizioni dell’Onu. Il marasma libico vede una guerra ormai in corso da 8 anni in cui le 130 tribù del paese cercano di garantire il proprio futuro piuttosto che quello della nazione, in un mosaico di interessi in continuo cambiamento. Sconfitto l’Isis, che in alcuni punti è tuttavia ancora presente, vi sono da una parte il governo di Accordo nazionale “di Tripoli”, riconosciuto dall’Onu, Khalifa Haftar e l’autoproclamato “governo di Tobruk”, poi a sud i territori controllati dai Tebu e quelli dei Tuareg.
Il viceministro degli Esteri Marina Sereni ha dichiarato al Foglio che “La crisi libica è innanzitutto una crisi interna e internazionale”. “Il conflitto in corso tra il generale Haftar e il governo del presidente al-Serraj ha posto in secondo piano una questione-chiave: la condivisione del processo politico da parte di tutto il popolo libico e delle sue espressioni regionali, tribali, cittadine e della società civile. Identificare queste espressioni e garantire che ognuna di esse possa far sentire la propria voce è una condizione fondamentale per la costruzione della Libia del futuro. E nello stesso senso la ricostituzione del tessuto istituzionale libico e l’avvio delle riforme non possono partire dal nulla e richiedono la messa a sistema di tutti coloro che meglio conoscono la Libia e la sua complessità”.

(Foto Unicef).