L’Iran sequestra una petroliera Gb. Sale la tensione, ma è ciò che Trump vuole per fare nuovi accordi

di Enrico Oliari

Nuova puntata della “guerra delle petroliere” nel Golfo Persico, con la tensione in continua crescita dopo che gli iraniani hanno sequestrato una nave cargo britannica carica di greggio nei pressi dello Stretto di Hormuz, la Stena Impero, con a bordo 23 membri dell’equipaggio di cui nessuno inglese.
Al di là delle spiegazioni da parte della Repubblica Islamica e degli strali di Londra, appare evidente che l’iniziativa va letta quale ritorsione per il sequestro di una nave iraniana, la Grace 1, agli inizi di luglio da parte della Marina britannica presso lo Stretto di Gibilterra su richiesta degli Usa in quanto diretta in Siria, e quindi in contravvenzione delle sanzioni sia europee che statunitensi verso il regime di Bashar al-Assad.
Per le autorità iraniane la Stena Impero avrebbe “spento il suo localizzatore, navigando attraverso l’uscita piuttosto che per l’entrata dello Stretto e ignorato gli avvertimenti”. Il direttore generale dell’autorità portuale della provincia di Hormozgan, Allah-Morad Afifipoor, ha spiegato che la nave britannica di 30mila tonnellate avrebbe urtato un peschereccio, ed il comandante avrebbe ignorato l’altolà spegnendo il trasponder. Ha poi aggiunto che sulla vicenda è stata aperta un’inchiesta.
Diversa la versione della società armatrice della Stena Impero, la Northern Marine Management, secondo cui la nave, diretta in Arabia Saudita, è stata “avvicinata da piccole imbarcazioni non identificate e da un elicottero durante il transito dello stretto di Hormuz mentre la nave si trovava in acque internazionali”. Al momento la Stena Impero è ormeggiata nelle acque di Bandar Abbas.
Gli Usa, che nell’area hanno la portaerei Uss Lincoln con il suo gruppo navale, continuano ad accusare l’Iran di cercare lo scontro, e jet statunitensi da oggi scortano le navi cargo battenti bandiera a stelle e strisce.
Quanto sta accadendo in queste ore è solo l’ultimo episodio di una escalation in crescendo, dopo che gli Usa, usciti per volere di Donald Trump dall’accordo sul nucleare iraniano (Jpcoa), hanno obbligato i paesi alleati tra cui l’Italia a non acquistare idrocarburi dall’Iran, cosa che ha spinto il paese in una seria crisi economica.
In mezzo si sono inseriti falsi allarmi e falsi attentati mossi da paesi che lo scontro lo cercano davvero, per quanto spesso i fatti portino alla luce verità ben diverse.
Solo ieri c’è stata la figuraccia del presidente Usa, il quale ha denunciato l’abbattimento da parte iraniana di un drone sui cieli internazionali, salvo poi questi essere ripreso da un drone iraniano, con tanto di immagini diffuse urbi et orbi, mentre rientrava sulla nave anfibia della Marina Uss Boxer, con a bordo 2.200 militari.
Più evidente ancora il caso dell’attacco di metà giugno a due petroliere, una giapponese ed una norvegese, sempre nei pressi dello Stretto di Hormuz: anche in questo caso Trump ha puntato il dito contro l’Iran, ma proprio quel giorno era in visita a Teheran il premier di Tokyo, Shinzo Abe, per cui difficilmente i pasdaran avrebbero minato una petroliera giapponese, carica di greggio diretto in Giappone, rischiando di mandare all’aria le relazioni con i due paesi.
In maggio due petroliere della Saudi Aramco, ormeggiate nei pressi degli Emirati Arabi Uniti, sono state sabotate, ed anche qui Trump se l’è presa con l’Iran, senza prova alcuna. La cosa è finita lì, e probabilmente a Washington si è capito che c’è qualcuno che sta cercando il casus belli, e non è di certo l’Iran.
Intanto però gli Usa hanno inviato altri militari in Arabia Saudita e soprattutto stanno vendendo missili difensivi ed altre armi ai vari paesi alleati dell’area, ma non è detto che il tutto non rientri nella strategia della Casa Bianca di alzare il più possibile la tensione al fine di riprendere in mano gli accordi sul nucleare iraniano, magari introducendovi il divieto, oggi assente, di testare missili balistici convenzionali.
Indiscrezioni infatti indicano Trump essere pentito dell’uscita dal Jpcoa, firmato nel 2015 dal “5+1” (Usa, Russia, Cina, Francia Gb + Germania), e di averlo fatto solo per andare in controtendenza rispetto al predecessore Barak Obama. L’Aiea, l’agenzia atomica internazionale, ha sempre potuto verificare e riportare nei propri rapporti il pieno rispetto da parte della Repubblica islamica del Jpcoa, ma Trump è stato eletto grazie al supporto delle potenti lobby sioniste Usa, e non ha potuto fare marcia indietro rispetto a quanto garantito in campagna elettorale. Anche se ciò avesse comportato un’escalation dagli esiti imprevedibili, l’aumento del rezzo del petrolio e la messa in ginocchio dell’economia di un paese di 80 milioni di abitanti.