Poroshenko annuncia l’associazione Ucraina-Ue. E’ la “falla”che temeva Putin

di Enrico Oliari –

putin profilo grandeNei piani di Vladimir Putin l’Ucraina doveva far parte dell’Unione doganale euro-asiatica, la quale, guidata dalla Russia, vede al momento l’adesione di Kazakistan e Bielorussia, con colloqui aperti per l’entrata di Vietnam, Armenia, Tagikistan e Kirghizistan.
La distribuzione del Pil non sta premiando l’iniziativa del Capo del Cremlino, basti pensare che una classifica fatta con i dati del 2011 danno l’Ue al primo, con $17.100 miliardi (25%), quindi gli Stati Uniti con $14.800 miliardi (22%), poi la Cina con $7.200 miliardi (10%), il Giappone con $5.800 miliardi (8%) e finalmente l’Unione doganale eurasiatica, con $2,100 miliardi (3%).
Per Putin quindi era fondamentale l’inclusione dell’Ucraina nell’Unione doganale euro-asiatica, non tanto per una questione di Pil (il paese di Kiev ha un’economia dissestata e solo 176.000 milioni di $ di Pil), bensì perché avrebbe rappresentato un anello di resistenza alla libera circolazione delle merci europee.
Al vertice italo-russo di Trieste del 26 novembre 2013 un attento giornalista aveva posto al leader russo una domanda in proposito (si era ancora lontani dal febbraio di Piazza “Maidan”, in realtà Piazza dell’Indipendenza, dove “maidan” significa, appunto, “piazza”), e Putin aveva risposto che “è l’Ucraina stessa a dover prendere le proprie decisioni”, tuttavia “Un paese che ha aderito all’Unione doganale, che prevede lo scambio di merci senza dazi, può recedere dagli accordi quando vuole. Un articolo dell’accordo prevede però che se uno dei paesi aderenti intavola rapporti con paesi terzi, può esportare le merci nei paesi dell’Unione doganale con un ribasso sui dazi attualmente dell’85 per cento, ma che arriverà al 95. Potrebbero quindi transitare dall’Ucraina merci verso l’Unione doganale a prezzi ridotti, cosa che metterebbe in crisi la nostra economia. Per coinvolgere l’Unione europea in questo progetto serve gradualità, ovvero tempo e denaro”.
Questo passaggio la dice lunga sulla crisi di oggi, perché, di fatto, apre una falla nel circuito ideato da Putin per tenere in qualche modo testa all’Unione europea.
Dalla “cravatta” russa rappresentata dai debiti di Kiev con la Gazprom e con le banche di Mosca (a Trieste Putin aveva parlato di 30 mld di $) si è passati ai fatti di Piazza Maidan (77 morti, 2200 feriti), in quanto il valore aggiunto di un popolo non è solo quello economico, ma anche il patrimonio di libertà, per cui è stato antistorico chiedere agli ucraini, che da poco avevano lasciato l’Unione Sovietica, di passare ad un’Unione doganale dove, di fatto, comanda sempre il numero uno del Cremlino, per di più capace di un pugno di ferro che negli ultimi tempi si è evidenziato attraverso l’arresto di oppositori fra i quali il blogger Alex Navalny (con l’accusa di “furto d legname”), il fermo di numerosi giornalisti, la mano pesante con i movimenti di protesta e persino le leggi contro i gay, uno degli indici di emancipazione individuale.
Putin riveste, insomma, l’immagine dell’uomo forte, duro, deciso, spregiudicato. Poi, però, bisogna vedere se può interessare ad una società fatta di globalizzazione delle idee, di comunicazione veloce e di opportunità diversificate l’idea di un leader, per di più straniero, che si presenta a dettare legge attraverso capi di Stato e di governo fantocci.
La cosa è venuta fuori anche oggi, con la decisione del governo di Kiev di guardare ad Ovest e non a Est: oggi il presidente ucraino Petro Poroshenko ha reso noto che l’accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Ue entrerà in vigore dal primo novembre dopo la ratifica martedì del testo da parte del Parlamento di Kiev.
Contestualmente Bruxelles ha reso noto che l’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio tra l’Ucraina e l’Unione europea è stato rinviato al 31 dicembre 2015 (un evidente compromesso), per cui si sta manifestando proprio quello che Vladimir Putin voleva evitare, e cioè che l’Ucraina potesse diventare una sorta di valvola di transito delle merci da ovest a est con forti sconti sui dazi, cosa che, come aveva detto a Trieste, potrebbe “aggredire il livello di occupazione dei russi” a vantaggio degli europei.
Tant’è che proprio oggi il leader del Cremlino ha affermato che “L’Ucraina in sé non interessa a nessuno ma è stata usata come uno strumento per destabilizzare le relazioni internazionali”, tra la Russia e l’Occidente.
Il questi mesi il nervosismo di Putin si è manifestato con l’annessione unilaterale della Crimea (dove Mosca ha la base della Flotta del Mar Nero) e con le tensioni nell’est dell’Ucraina, volute probabilmente per rendere definitiva la prima e destabilizzare l’intero paese.
Putin è inoltre inquieto per la questione delle forniture di gas, ora che dall’Azerbaijian sta per partire un gasdotto, il Bte/Tanap/Tap, che porterà il gas, forse anche iraniano (Teheran ne ha per due secoli, la Russia per 75 anni), sui ricchi mercati europei attraverso la Puglia e il Friuli Venezia Giulia: nelle scorse settimane ha mandato il ministro degli Esteri Serghei Lavrov a fare il giro delle sette chiese, in particolare in Slovenia e in Bulgaria, per scongiurare l’ostruzione di Bruxelles alla realizzazione del South Stream (progetto al quale Eni ha iniziato con una partecipazione del 50% per poi scendere al 20% di oggi), un gasdotto che, a parte Mosca, ormai non vuole più nessuno. Anche perché il “maxi-contratto” annunciato con la Cina, tanto “maxi” non è, se si pensa che, una volta posate le tubature, permetterà la vendita di 430 mld di dlr di gas in 30 anni, cioè 14 miliardi all’anno, quando nello stesso periodo di tempo la Russia vende all’Europa 4mila mld di dlr di gas, cioè 130 miliardi all’anno.
Ciò che è certo, è che la politica delle sanzioni prima o poi porterà nei limiti l’uomo di ferro russo, poiché ha più bisogno la Russia di commerciare con l’Europa, che il contrario, per quando nell’Unione europea vi sia una marcata stagnazione economica: l’esempio eclatante è stata la minaccia, immediatamente ritirata, di interdire ai voli europei il transito sullo spazio russo… ma cosa avverrebbe se fossero i 28 paesi dell’Unione europea a interdire il volo alle compagnie russe?
Putin è chiamato oggi a ripensare alla sua politica economica rinunciando alla logica della concorrenza con l’Europa e a far sua la strategia dell’interazione e dell’integrazione.

Vedi anche: Putin e Letta si incontrano a Trieste per il vertice italo-russo: firmati 28 fra accordi e trattati – Notizie Geopolitiche, 26 nov 2013