Messico. Gli interessi minerari stranieri dietro il massacro di Ostula

di Marco Dell’Aguzzo

Messico ostulaE se provassimo a guardare ai fatti di Ostula da una prospettiva diversa?
Cerchiamo innanzitutto di presentarli in maniera neutra. Domenica 19 luglio, nel municipio di Aquila, in Michoacán, la comunità indigena di Santa María Ostula stava manifestando per ottenere la liberazione di un suo leader, Semeí Verdía, che era stato precedentemente arrestato, con grande spiegamento di mezzi, dai federali per possesso illecito di armi da fuoco: la comunità di Ostula si è infatti da tempo (nel 2009; il fenomeno delle ‘autodefensas’ in Messico esploderà quattro anni dopo) auto-munita di un proprio gruppo di vigilanti per proteggersi dal cartello dei Cavalieri Templari. La protesta, comunque, si è trasformata in un vero e proprio scontro armato costato la vita ad alcune persone, tra le quali ci sarebbe (almeno) un minorenne.
Ora, le interpretazioni. Secondo i civili, a sparare sulla folla sarebbero stati gli uomini della Marina messicana, ma la Procura generale di Giustizia dello stato di Michoacán ha rifiutato questa versione, parlando di aggressori “ignoti”. Stando a quanto affermato da un membro della comunità di Ostula nel corso di una conferenza stampa lo scorso 21 luglio (il video è disponibile su YouTube), l’arresto di Verdía non sarebbe altro che un pretesto per favorire gli interessi criminali dei Cavalieri Templari, che godrebbero del pieno appoggio delle autorità federali. Alcuni testimoni della sparatoria del 19 luglio affermano inoltre di aver sentito i soldati incitare e gridare il loro sostegno al cartello.
È tutto? Sembra di no. Come riportato anche da Andrea Spotti su “Contropiano.org”, “l’obiettivo dell’operazione repressiva è quello di assestare un duro colpo al processo di lotta per l’autonomia in atto nella comunità dal giugno del 2009, quando gli indigeni nahua recuperarono circa 1000 ettari del loro territorio. Un territorio assai fertile, ricco di minerali e ambito dall’industria mineraria e turistica”. Quanto successo a Ostula può e deve quindi essere inserito in un contesto ben più ampio: economico, politico e anche geopolitico.
Partiamo dal 1994, l’anno in cui Stati Uniti, Canada e Messico stipularono l’Accordo nordamericano per il libero scambio (NAFTA o TLCAN). In Messico la firma del trattato venne accolta con una vigorosa protesta zapatista nello stato del Chiapas: gli insorti credevano che il NAFTA avrebbe contribuito ad impoverire ulteriormente chi povero lo era già (il Messico) e a rendere i ricchi (Canada e, soprattutto, ‘Estados Unidos’) ancora più ricchi. La storia gli darà ragione: il NAFTA ha effettivamente inasprito le disuguaglianze, ha gettato i piccoli agricoltori nella miseria, ha strozzato la voce dei sindacati, ha favorito lo sfruttamento nei luoghi di lavori e l’aumento della violenza di genere, ha amplificato i flussi migratori verso gli USA e ha danneggiato l’ambiente.
L’ambiente. Nel ’94 il governo messicano, per favorire l’afflusso di investimenti e di capitale straniero, modificò la legge mineraria del 1992 deregolamentando il mercato e diminuendo la tassazione, dando di fatto il via allo sfruttamento selvaggio del territorio, non curandosi del rispetto dell’ambiente e dei diritti delle comunità e consegnando il suolo e le sue risorse nelle mani di altri stati: come ricostruito su “SinEmbargo MX” (che traduco) “attualmente, circa il 30% del paese è nelle mani di 293 imprese straniere che estraggono, esplorano e trasformano le risorse minerarie, come evidenziato dalle cifre ufficiali e dai gruppi ambientalisti che difendono il diritto dei cittadini alla loro terra e alla proprietà di ciò che questa genera. Le aziende possono effettuare attività di esplorazione e di sfruttamento per 50 anni, spesso estesi ad altri 50”. Una buona fetta delle oltre 19mila concessioni emesse dal 2000 al 2012 sono in mano ad imprese canadesi.
Senza nessun sostegno da parte dello stato tocca ai civili, i direttamente colpiti, combattere delle vere e proprie battaglie per impedire lo sfruttamento intensivo delle terre in cui vivono. L’attivista Mariano Abarca Roblero, ad esempio, denunciò più e più volte i costi ambientali e sociali provocati dalla miniera in mano alla società canadese Blackfire Exploration sulla sua comunità a Chicomuselo, nel Chiapas; per tutta risposta, venne prima minacciato e poi, nel novembre del 2009, ucciso, sull’uscio della sua casa, da uomo in motocicletta che gli sparò in testa e in petto. Era un dipendente della Blackfire. Abarca aveva cinquantuno anni e lasciò una moglie e quattro figli.
Santa María Ostula potrebbe essere destinata ad un futuro simile. Le sue terre saranno (si presume) a breve cedute in concessione a Ternium, un’impresa attiva nella siderurgia con sede in Lussemburgo che opera principalmente in America Latina. Semeí Verdía e tutta Ostula contestavano le inquinanti trivellazioni di Ternium già da una quindicina di anni: l’impresa è presente ad Aquila dal 1998, ma il municipio non ne ha beneficiato in termini di occupazione e continua ad essere uno dei più poveri del Michoacán.
Il massacro del 19 luglio farebbe quindi parte di una vera e propri strategia volta a fiaccare e a scoraggiare la resistenza indigena, intimidendola e privandola delle sue figure di riferimento. Verdía è soltanto l’ultimo: negli ultimi anni sei membri della comunità risultano scomparsi, e trentatré o trentaquattro sono stati uccisi.
Parafrasando le parole che Fernando Ríos Martínez, segretario esecutivo di Red TDT, associazione che si occupa di difendere e promuovere il rispetto dei diritti umani, ha pronunciato nel corso della già citata conferenza del 21 luglio, lo stato messicano sta cercando di dissuadere le proteste e nel contempo di criminalizzare chi difende il bene pubblico. E questo è preoccupante.

Twitter: @marcodellaguzzo