Messico. I 43 di Ayotzinapa non furono cremati

di Marco Dell’Aguzzo

messico marcia pro studentiI 43 studenti della Scuola normale rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa non possono essere stati cremati: è la conclusione a cui è giunto il Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (GIEI) – nominato dalla Commissione interamericana dei diritti umani (CIDH) a svolgere indagini autonome sul “caso Iguala” – nel corso di una conferenza stampa tenutasi il 6 settembre a Città del Messico.
Secondo la versione ufficiale presentata il 7 novembre scorso dalla Procura generale della Repubblica (PGR) tramite l’allora procuratore Jesús Murillo Karam (attualmente segretario dello Sviluppo agricolo), il 26 settembre 43 studenti sarebbero stati prelevati e uccisi da sicari del cartello dei Guerreros Unidos e i loro corpi poi ridotti in cenere in una discarica nei pressi della città di Cocula nella stessa notte del loro rapimento; il fuoco, alimentato con benzina e pneumatici, sarebbe durato quindici ore. Una volta terminato il processo, gli stessi sicari avrebbero provveduto a mettere i resti in alcuni sacchi e infine a gettarli in un fiume nelle vicinanze, il San Juan. Come prova, la PGR portò un dente e un dito appartenenti ad uno dei ‘desaparecidos’, Alexander Mora Venancio. Il sindaco di Iguala José Luis Abarca e la moglie María de los Ángeles Pineda, entrambi collusi con il cartello dei Guerreros Unidos, vennero accusati di essere i mandanti del massacro.
La versione della Procura non convinse mai del tutto. Non soltanto qualche osso bruciacchiato non basta né a confermare la morte di Alexander – potrebbero avergli soltanto tagliato il dito e strappato il dente –, né tantomeno quella degli altri 42, ma la stessa vicenda del rogo non è fisicamente e logicamente plausibile. Affinché una cremazione possa compiersi, la temperatura deve raggiungere valori piuttosto alti (intorno ai 1.200 gradi), che devono mantenersi omogenei per tutta la durata del processo. E poi, per cremare così tanti corpi sono necessarie ben trentatré tonnellate di legna, o in alternativa un migliaio di pneumatici, che avrebbero però emanato una quantità di fumo visibile da chilometri di distanza. Infine, un fuoco così imponente avrebbe senz’altro dovuto danneggiare la vegetazione circostante, che invece – basta guardare qualche foto – è miracolosamente rimasta intatta. Non c’è neanche certezza che i resti dell’unico studente identificato siano stati realmente trovati a Cocula e non aggiunti in un secondo tempo (che era proprio l’accusa che un team di periti nominato dai genitori dei ‘normalistas’ mosse alla Procura).
Aldilà delle mistificazioni operate dal governo per archiviare il più rapidamente possibile una vicenda potenzialmente esplosiva, ancora il GIEI nel mese di luglio denunciò le torture che i presunti sospettati degli omicidi dei 43 studenti avevano subito durante gli interrogatori: le confessioni raccolte con questi metodi – che servivano da conferma alla ricostruzione della vicenda fatta dalla PGR – non possono ovviamente dirsi valide. E i 43 di Ayotzinapa restano dispersi.