Messico. Rivolta in carcere, 52 morti

di C. Alessandro Mauceri

Messico rivolta carcereEsercito, marina e polizia nazionale messicana sono dovuti intervenire per aiutare le guardie carceriere a sedare la rivolta che è scoppiata nei giorni scorsi nel carcere di “Topo Chico”, a Monterrey, in Messico. Alla fine il bilancio è stato pesantissimo: 52 morti e molti feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni.
Il governatore di Nuevo Leon, Jaime Rodriguez, ha cercato di spiegare l’accaduto attribuendo la causa degli scontri alla lite tra i membri di due cartelli narcos, quello “del Golfo” e quello degli “Zetas”, i cui esponenti erano rinchiusi nel carcere. Ma, secondo molti, la vera ragione delle proteste sono state le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere molti dei detenuti che per questo hanno tentato di fuggire. Ma già nel 2012, nel corso di una rivolta in una prigione di Apodaca, sempre a Nuevo Leon, 44 carcerati avevano perso la vita mentre protestavano per le condizioni di reclusione.
E nel 2013, la Commissione nazionale per i diritti umani aveva denunciato che delle 101 carceri più affollate del Paese ben 65 erano in realtà gestite dai carcerati e non dalle autorità carcerarie.
In Messico molte delle carceri sono sovraffollate: quando ha assunto l’incarico il nuovo governatore, a ottobre 2015, nelle carceri erano rinchiusi molti più detenuti di quanti potessero essere ospitati. E nel carcere di Topo Chico c’è un eccesso del 40 per cento di detenuti di sesso maschile e del 63 per cento nella sezione femminile. Complessivamente in Nuevo León, sono 8.120 i detenuti, di cui circa 1.600 sotto la giurisdizione federale.
Ma la cosa che ha sorpreso di più le autorità entrate nei luoghi di detenzione dopo che erano scoppiati gli scontri, sono state le condizioni in cui vivono i boss in carcere. Mentre la maggior parte dei detenuti vive in celle senza acqua, ventilazione o luce, ai leader delle bande erano concessi lussi inimmaginabili. In una dichiarazione rilasciata dopo gli scontri, dall’ufficio il procuratore dello stato di Nuevo Leon è stato riferito che il capo del cartello Los Zetas, Ivan Hernandez Cantu, viveva in un miniappartamento (chiamarlo cella non è esatto) dotato di ogni comfort dal letto king-size al bagno di lusso e al gigantesco televisore a schermo piatto. Anche altri detenuti beneficiavano di condizioni di carcere certamente non “duro”: nelle loro celle disponevano di condizionatore d’aria, mini-frigo e perfino di un acquario con tanto di pesci. “Tutti questi privilegi appartengono al passato”, ha detto un rappresentante delle autorità, aggiungendo che nel penitenziario saranno ora inviati dei consulenti legali per “rivedere i casi di ciascun detenuto”.
Tra l’altro, la polizia ha smantellato ben 280 “stand gastronomici”, un bar e centinaia di altari di Santa Muerte, una figura simile alla morte venerata da molti membri dei cartelli della droga messicani.
Dopo la fine della rivolta dei giorni scorsi Martín Sánchez, direttore dell’organizzazione non governativa per la riforma del sistema penale messicano Renace, ha ammesso che da molti anni lo stato non aveva il controllo del penitenziario di Topo Chico, in mano ai gruppi criminali.