EDITORIALE. Nagorno Karabakh: non facciamola passare per guerra di religione

di Enrico Oliari

Oliari enricoLeggendo l’articolo di oggi di Leonardo Piccini apparso su Libero con le dichiarazioni dell’ambasciatore armeno Sargis Ghazaryan, con tema il conflitto (mai risolto e mal gestito) del Nagorno Karabakh, c’è di che rimanere perplessi.
Non entro nel merito di chi abbia iniziato gli ultimi sanguinosi scontri, di chi abbia ragione e di chi torto su una drammatica crisi iniziata con la guerra 1992-1994: sono tutt’altro che sporadici gli episodi di violenza manifestatisi negli ultimi due decenni, come pure l’Azerbaijan non ha mai fatto mistero dell’intenzione di riannettere, anche con la forza, l’autoproclamata repubblica (non riconosciuta) del Nagonro Karabakh. L’ambasciatore azerbaigiano Vaqif Sadiqov lo disse anche al nostro giornale, “ci riprenderemo quello che è nostro”.
La speranza, tuttavia, resta quella che il dialogo e non le armi portino ad una soluzione, anche di compromesso, perché in un mondo sconvolto da ogni tipo di crisi non c’è assolutamente bisogno di una nuova guerra.
Torniamo, però, all’articolo di Piccini, che inizia con i “cappellani militari che hanno indossato elmetto e giubbotto antiproiettile per stare accanto ai soldati armeni cristiani”, “in prima linea per respingere l’assalto contro i villaggi cristiani minacciati dalla violenta offensiva dell’esercito azero musulmano”. E’ Ghazaryan a parlare, per poi arrivare agli azeri, supportati da “decine di terroristi dell’Isis in fuga da Raqqa. Sono state commesse delle atrocità, e lo stile è quello macabro tipico dello Stato Islamico. Sono stati uccisi dei civili nel villaggio di Talish, guardi lei stesso queste foto…”.
Le foto Libero non ce le mostra, ma quello che nel pezzo si vuole far apparire è una guerra di religione che non c’è, un messaggio per cui noi italiani “cristiani” dovremmo ideologicamente opporci all’Azerbaijan perché nazione islamica, prossima a sciogliersi nello Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi. Così dedito alla sharia, quel paese, che al Vinitaly c’è il padiglione dell’Azerbaijan.
L’ambasciatore armeno osserva correttamente che “il conflitto del Nagorno Karabakh non ha motivazioni religiose”, ma poi aggiunge che “il governo azerbaijano usa la religione come pretesto per invocare una solidarietà panislamica”. E non ci sono dubbi: “L’Isis apre un nuovo fronte e massacra i cristiani armeni”, “i jihadisti combattono a fianco degli azeri”. Dichiarazione forti, che se provate andrebbero portate al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Difficile tuttavia pensare agli uomini del Califfo impegnati in Azerbaijan, paese dove spesso la religione non è osservata e comunque dove la maggioranza è islamico-sciita, un’apostasia per lo Stato Islamico sunnita di Raqqa. Vi è anche una componente cristiana: nel 2001 il patriarca di Mosca Alessio II ha consacrato a Baku la nuova cattedrale ortodossa delle Sante Mirrofore, mentre nel 2007 è stata consacrata la chiesa cattolica dell’Immacolata Concezione, sempre nella capitale.
Anche ritenere che l’Armenia “è l’unico paese cristiano dell’area caucasica” non è corretto, perché lo è anche la Georgia.
Mi chiedo, tuttavia, perché davanti a un conflitto palesemente motivato da un ventaglio di interessi, giusti o sbagliati che siano, Libero, quello del “Bastardi islamici!”, la butta sulla religione? Se c’è una cosa che non va giù ai jihadisti, come pure a quelli degli attentati in occidente, più che l’essere cristiani è la libertà di cui godiamo, l’emancipazione della donna, i diritti civili, frutto di un percorso storico e di una serie di rivoluzioni culturali che poco o nulla hanno a che fare con la religione.