Nato. L’Italia non può tirarsi indietro. A meno che…

di Giuseppe Gagliano

Se il nostro paese durante la Cold War doveva solo servire a ritardare e contenere una eventuale offensiva sovietica, i mutati scenari hanno trasformato l’Italia in una portaerei terrestre determinate per la politica di proiezione di potenza americana. Sia sufficiente pensare all’operazione Allied Force in Kosovo contro la Jugoslavia per avere un quadro chiaro del ruolo e dell’importanza delle infrastrutture militati Nato/USA sul nostro territorio. Ma quali sono, in breve, gli accordi che regolano la presenza e l’uso delle basi Nato/USA sul nostro territorio?
I principali accordi che hanno consentito la presenza delle basi militari sul nostro territorio sono facilmente individuabili dal punto di vista storico.
In primo luogo il 19 giugno 1951 viene stipulato il Trattato di Londra relativo allo status delle forze militari dei paesi Nato; in secondo luogo il 28 agosto del 1952 viene firmato il protocollo riguardante lo status dei quartier generali militari internazionali istituiti in base al Trattato del Nord-Atlantico nei vari paesi della Nato. Infine vengono firmati il 27 gennaio del 1950 l’Accordo bilaterale Usa-Italia sull’assistenza difensiva reciproca (Accordo di Washington) e il 7 gennaio 1952 l’Accordo bilaterale sulla sicurezza reciproca (Accordo di Roma). Alla luce di questi trattati l’Italia e gli Stati Uniti il 20 ottobre del 1954 concludono un accordo-quadro considerato di massima segretezza che regola bilateralmente le basi e le infrastrutture militari.
Se sul piano strettamente formale l’operato degli alleati è sotto il controllo italiano, ma nella realtà, cioè della logica di potere, questa sovranità da parte italiana è nella migliore delle ipotesi assai limitata. Il fatto che sovente la stessa località ospiti strutture “americane” e “Nato” o che addirittura nella stessa base via siano truppe americane, Nato e italiane, rende considerevolmente più complesso stabilire i reali confini della sovranità italiana.
A parte la Francia con De Gaulle, negli anni ’80 soltanto il governo greco e soprattutto quello spagnolo formularono numerose perplessità sull’uso di queste basi al punto che nel 1986 gli spagnoli si pronunceranno con un referendum contro la partecipazione della Spagna alla struttura militare della Nato, scelta questa politicamente irrealistica in un paese come l’Italia nonostante la presenza del più potente partito comunista a livello europeo. Solo l’Italia dimostrerà la propria indiscussa fedeltà all’alleato americano consentendo il trasferimento ad Aviano degli F16 spagnoli.
La centralità del nostro paese per la NATO dipende dal fatto che il fianco sud della Nato costituisce uno snodo fondamentale sia perché ci sono più di 40 nazioni che circondano l’area sia perché il 90% del commercio della Grecia e della Turchia e il 70% di quello italiano passa attraverso circa duemila navi mercantili che attraverso le rotte del Mediterraneo. Inoltre tutte le importazioni di petrolio dal Medio Oriente della Grecia e dell’Italia, e circa la metà di quelle di Francia, Germania e Spagna, passano per le medesime rotte.
Al di là di queste considerazioni squisitamente geopolitiche,i casi di Sigonella e del Cermis, anche volendo essere cauti nelle valutazioni di ordine politico, dimostrano che per gli USA fosse scontato un atteggiamento di acquiescenza da parte italiana per l’uso della base di Sigonella e che il controllo effettivo della base di Aviano fosse americano. Anche tenendo conto della mutevolezza degli equilibri politici tra America e Italia e della diversità delle amministrazioni americane non è possibile, proprio da un punto di vista politico, militare ed economico, cioè da un punto di vista che potremmo definire intrinseco, porre sullo stesso piano l’Italia e gli Stati Uniti.
Andando oltre le irrealistiche ipotesi di uscire da parte dell’Italia dalla struttura militare Nato, non meno irrealistica appare la possibilità, allo stato attuale, di rinegoziare l’uso delle infrastrutture militari Nato/USA.