Niger. Tchiani non cede. Perchè il Niger pesa nella guerra per l’ordine multipolare

di Enrico Oliari

Sudan, Burkina Faso, Ciad, Mali. Sono solo gli ultimi paesi teatro di colpi di stato in Africa, e già tre giorni fa un gruppo di alti ufficiali dell’esercito della Sierra Leone sono stati arrestati per aver tentato un golpe volto a deporre il presidente Juliius Maada Bio. Al di là delle retoriche e dei proclami, si tratta quasi sempre di famiglie o gruppi di oligarchi che, attraverso i militari, si impongono su altri gruppi al fine di prendere il controllo di paesi importanti per gli aspetti geostrategici e per le ricchezze naturali. Tuttavia gli oltre 200 colpi di stato dell’Africa dagli anni Sessanta ad oggi non hanno cambiato una situazione che vede le potenze economiche del pianeta, da occidente a oriente, fare affari d’oro attraverso lo sfruttamento minerario e agricolo, pur lasciando la popolazione locale senza alcun beneficio e spesso al di sotto della soglia di povertà.
Anche il Niger è da sempre terra di colpi di Stato, fin dalla sua indipendenza dalla Francia ottenuta il 3 agosto 1960. Nel 2010 ad essere deposto era stato il presidente Mamadou Tandja, mentre Mahmadou Issoufou, eletto democraticamente e presidente dal 2011 al 2021, era scampato a un attentato promosso da militari.
Nonostante il recente golpe del Niger, promosso alla Guardia presidenziale guidata dal il colonnello Adbrouhame Tchiani, sia del tutto simile a quello dei paesi circostanti, la comunità occidentale appare più in fibrillazione del solito, e dopo Ue, Ecowas e Francia, oggi sono gli Usa a chiedere il ripristino dell’ordine democratico e il rilascio del presidente eletto Mohammed Bazoum e dei 180 tra ministri, parlamentari e politici arrestati.
La risvegliata preoccupazione che va dalla Torre Eiffel alla Statua della Libertà si spiega non solo per i rischi che corrono le aziende occidentali che in Niger fanno man bassa di uranio e altri prodotti minerari, bensì perchè ad esseresi è in gioco è un sistema di equilibri che fa del paese subsahariano la roccaforte dell’influenza francese e occidentale in Africa, un’influenza che ha sempre saputo di imperialismo e che negli ultimi anni si è fortemente indebolita, persino in Algeria, a vantaggio di attori come la Cina e la Russia.
Attori che rappresentano, a torto o a ragione, per gli africani un’alternativa, e già i cinesi sfruttano tutto lo sfruttabile, ma almeno costruiscono ospedali, aeroporti e autostrade. I russi della Wagner combattono i jihadisti del Mali, dopo anni di inefficacia delle forze francesi.
Il Niger tuttavia non interessa solo alla Francia, che da sempre ha lì un’importante base militare: negli ultimi anni l’Unione Europea ha investito parecchi denari per costruire presidi militari volti a mantenere stabile il paese e a contrastare i flussi migratori e i traffici illegali. Si tratta di progetti finanziati attraverso vari programmi tra cui “Reforces Niger” e “European Peace Facility”, supervisionati dalla Francia e che vedono la partecipazione anche dell’Italia.
Sforzi e denari (in una recente visita il Pesc Borrell aveva promesso altri 320 milioni di euro) che rischiano di vanificarsi a causa del golpe di Adbrouhame Tchiani, tant’è che alle manifestazioni pro golpisti organizzate nell’odierna giornata dell’Indipendenza, accanto alle bandiere nigerine sono spuntate quelle russe, con slogan dal tono “viva Putin, viva la Russia”.
Il Niger entra così di peso nella partita a scacchi per un ordine mondiale multipolare, catalizzato dalla guerra in Ucraina e che si evidenzierà certamente al vertice Brics di Johannesburg di fine mese, magari con una moneta di riferimento alternativa al dollaro Usa: una “guerra mondiale a pezzi”, come l’ha testé definita Papa Francesco. Con la Nato che fagocita l’Europa orientale e la Russia che si espande in Africa.
E se all’Ecowas il Senegal si è già schierato per un intervento armato in Niger, Mali e Burkina Faso hanno fatto sapere che in tal caso si ritirerebbero dalla Comunità degli Stati dell’Africa occidentale per appoggiare “le Forze armate e il popolo del Niger”.
Tchiani intanto ha fatto sapere di essere intenzionato a non cedere alle pressioni e a rimettere l’occidentalista Mohamed Bazoum al governo, “ne’ a quelle regionali, ne’ a quelle internazionali”.