di Enrico Oliari –
Se non fosse stato per la drammaticità di un paese sotto attacco, con città bombardate e vittime fra i civili, il comportamento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky all’assemblea generale dell’Onu avrebbe fatto pensare al suo vecchio lavoro di comico. Non tanto perché anche in quest’occasione si è presentato, come la delegazione ucraina, in immancabile verde militare manco fosse stato reduce della prima linea del Donbass, ma per aver chiesto nientemeno che la cancellazione del diritto di veto della Russia, paese membro permanente del Consiglio di sicurezza. La delegazione russa, guidata dal volpone Sergei Lavrov, aveva chiesto di non far parlare prima Zelensky per non trasformare il teatro dell’assemblea nel suo show personale, ma il presidente di turno, l’albanese Edi Rama, ha risposto “fermate la guerra e il presidente Zelensky non prenderà la parola”.
Zelensky ha potuto quindi ribadire il suo piano in 10 punti, che per prima cosa prevede il ritiro dei russi entro i confini del 2014 (Crimea compresa), come se le motivazioni alla base del conflitto non fossero mai esistite, a cominciare dal mancato rispetto da parte dell’Ucraina degli accordi di Minsk, dei bombardamenti dei battaglioni di neonazisti dichiarati sui civili del Donbass e dell’entrata del paese nella Nato, con tanto di basi Usa a ridosso dei 1.576 chilometri di demarcazione dalla Russia.
Quando il ministro degli Esteri russo ha preso la parola per rispondere, Zelensky e i suoi hanno lasciato l’aula, senza curarsi del fatto che non tutto il mondo è schierato dietro il suo sintetico occidentalismo forzato.
Scontato l’attacco di Blinken, segretario di Stato del maggiore paese al mondo produttore di armi, che per far girare l’economia deve avere sempre una guerra tra le mani, vuoi la Libia, vuoi l’Afghanistan, e si potrebbe continuare a lungo: lo statunitense Blinken ha accusato la Russia di “crimini contro l’umanità” ogni giorno in Ucraina, dimentico di una guerra che ha distrutto l’Iraq per armi di distruzione di massa inesistenti, di Guantanamo e delle feste di matrimonio bombardate in Afghanistan per il solo sospetto che fra gli ospiti vi fosse un talebano.
Lavrov se l’è quindi presa con la Nato, capeggiata dagli Usa chiunque sia il fantoccio segretario generale del momento, per non aver cercato il dialogo per la pace in Europa e aver aumentato quindi il rischio di un “conflitto globale”. In particolare ha puntato il dito sulle interferenze in Ucraina, che tra l’altro hanno portato al golpe, finanziato dall’occidente, che ha deposto Viktor Yanukovich. Rivolgendosi sempre a Blinken, Lavrov ha affermato che “se gli Usa sono interessati al dialogo, penso non sarà difficile far ritirare a Zelenky il decreto con cui ha stabilito l’impossibilità di negoziare personalmente con il presidente Vladimir Putin”.
Anche il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha condannato l’invasione russa e chiesto lo “stop immediato” agli attacchi contro i civili e le infrastrutture del grano.
Proprio il grano rischia tuttavia di trasformarsi nel tallone d’Achille di Volodymyr Zelensky.
La Russia, come si sa, si è ritirata dall’accordo sul grano mediato da Onu e Turchia accusando che solo il 3% dei cereali ucraini esportati sono finiti ai paesi in via di sviluppo, al contrario cioè di quanto era stato chiesto proprio da Guterres. Il 97% del grano passato attraverso il blocco russo è andato invece ai paesi ricchi, cioè a quelli in grado di pagare bei soldoni in un momento di crisi.
Permanendo il blocco, il governo ucraino si è visto costretto a far transitare i propri cereali verso i paesi dell’Europa centrale, cosa che ha messo in ginocchio le rispettive produzioni locali, con infinite proteste degli agricoltori.
L’Unione Europea ha istituito in maggio un divieto temporaneo della vendita di cereali ucraini in Polonia, Bulgaria, Ungheria, Slovacchia e Romania, ma tale divieto è scaduto una settimana fa, portando i governi di Polonia, Ungheria e Slovacchia a prorogarlo in modo autonomo.
Va detto che i paesi europei non hanno indipendenza circa le politiche agricole, ma l’Ucraina, che Unione Europea non è, ha denunciato i tre paesi testardi all’Omc, l’Organizzazione mondiale del commercio, e al palazzo di vetro Zelensky se l’è presa in particolare con la Polonia, che del grano ucraino non vuole saperne, avendo il proprio.
Una querelle che è andata a finire negli ingranaggi delle campagne elettorali dei vari paesi e che sta andando in quelle per le elezioni europee, per cui il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha reso noto ieri che la Polonia deve pensare a riarmarsi, per cui cesserà la fornitura di armi all’Ucraina.
La Polonia, paese Nato e soprattutto terra di rifugio per un milione e mezzo di profughi ucraini, è sempre stata in prima linea per le forniture di armi a Kiev, tanto che in marzo aveva annunciato la fornitura di aerei da caccia. Per la questione del grano i rapporti con gli ucraini hanno cominciato a raffreddarsi, fino alla decisione di oggi di non consegnare altre armi.
Tolta l’Ungheria, gli altri paesi dell’Europa occidentale sono stati fra i principali sostenitori di Kiev, ma il timore di Zelensky (e del suo padrone Biden) è che altri paesi possano seguire l’esempio della Polonia. Anche perché la guerra si sta protraendo a lunga data, e i costi per gli europei (vedi i tassi di interesse della Bce e il costo dei carburanti) cominciano ad essere insostenibili per le famiglie e le imprese.