di Mariarita Cupersito –
Scienza e politica, conflitti bellici, la minaccia del nucleare e le possibili implicazioni del progresso tecnologico: sono queste le tematiche, ancora oggi drammaticamente attuali, al centro del nuovo film del regista Christopher Nolan su J. Robert Oppenheimer, fisico passato alla storia come “il padre della bomba atomica”.
Osannato e poi ostracizzato, Oppenheimer è stato definito come un novello Prometeo da Kai Bird e Martin Sherwin, vincitori del premio Pulitzer con il saggio “American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer” a cui è ispirato l’omonimo lungometraggio.
L’opera ruota attorno alle debolezze dell’agire umano e si muove su due linee narrative intitolate rispettivamente “fissione” e “fusione”: la prima è incentrata sui conflitti interiori vissuti dal celebre scienziato, che nella pellicola ha il volto dell’attore Cillian Murphy, il quale contribuì alla creazione della bomba atomica ma poi sostenne la necessità di interrompere lo sviluppo di altre armi; la seconda, realizzata interamente in bianco e nero, focalizza l’attenzione sul periodo successivo all’utilizzo delle due bombe sulle città di Hiroshima e Nagasaki e sulla sorte toccata al moderno Prometeo, colpevole di aver donato all’uomo un fuoco capace di modificare il corso della Storia.
Punto di svolta nella trama (e nella vita) di Oppenheimer è la partecipazione del fisico in qualità di direttore scientifico del laboratorio nel progetto Manhattan, che mirava a battere sul tempo la Germania nazista nello sviluppo di bombe atomiche. Con il coinvolgimento delle menti più brillanti del Paese, il team di Oppenheimer realizzò prototipi di due tipi di bombe che avrebbero poi portato alla costruzione della bomba all’uranio denominata “Little Boy” e fatta esplodere su Hiroshima, nonché della bomba al plutonio con metodo a implosione ribattezzata “Fat Man” e sganciata su Nagasaki.
All’esito del Trinity Test con una bomba al plutonio che Oppenheimer ritenne necessario effettuare nel 1945 nel deserto del New Mexico, il cui scoppio rilasciò circa 21mila tonnellate di tritolo, il fisico avrebbe citato un testo sacro indiano che recita: “Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi”.
Da qui ha il via la crisi di coscienza dello scienziato, trasposta sullo schermo mediante ricorrenti visioni apocalittiche che tormentano Oppenheimer, il quale dapprima provò con altri colleghi a suggerire alle autorità un’esplosione meramente intimidatoria che spingesse il nemico (non più la Germania, ormai, bensì il Giappone) ad arrendersi e poi, a seguito del bombardamento delle due città nipponiche, si spese pubblicamente contro l’impiego di tali armi.
Il suo successivo rifiuto di prendere parte al progetto per la creazione della bomba a idrogeno contribuì a renderlo inviso alle autorità e, anche a causa di sue vecchie simpatie antifasciste, si ritrovò presto accusato di essere comunista e di aver trasmesso ai sovietici informazioni segrete sulla bomba.
A dispetto di quanti si impegnarono per screditarne l’immagine, la contraddittorietà delle dichiarazioni degli informatori e delle prove negli archivi dell’FBI, unite alla successiva reazione della comunità scientifica quando, nel 1954, fu disposto per Oppenheimer il divieto d’accesso alla Atomic Energy Commission per “ragioni di sicurezza nazionale”, portò negli anni successivi a una lenta riabilitazione della sua persona culminata nell’assegnazione del Premio Enrico Fermi nel 1963.
La vita del fisico statunitense si presterebbe già così ad essere efficacemente trasposta in un lungometraggio, ma Nolan non rinuncia a metterci del suo e impreziosisce l’opera con precise scelte stilistiche e narrative, suggerendo inoltre riflessioni fin troppo contemporanee.
Seppur densa di dialoghi, la pellicola affida i suoi due momenti salienti a sequenze e scene in cui le parole diventano superflue o sono del tutto assenti: il dialogo tra Oppenheimer e Albert Einstein filtrato attraverso lo sguardo del personaggio di Lewis Strauss (Robert Downey Jr.), cruciale per le successive accuse di spionaggio, e la conclusione del Progetto Trinity, in cui le immagini precedono mute il suono del boato.
Nolan rinuncia alla narrazione epica della grande impresa tecnologica realizzata dal protagonista e ci mostra invece tutte le fragilità e il tormento di un eroe che diventa suo malgrado carnefice, invischiato in giochi di potere più grandi di lui.
La portata dell’opera si estende ben oltre le vicende personali del protagonista e l’epoca in cui esse si svolgono, tramutandosi in un’amara riflessione su come le scelte umane e politiche, basate su un utilizzo distorto della tecnologia e della scienza, possano modificare la storia con conseguenze imprevedibili e finanche devastanti.