Repubblica Dominicana. Un voto su Haiti

di Francesco Giappichini –

Il 19 maggio si celebreranno, in Repubblica Dominicana, le elezioni presidenziali. A sfidare il capo di stato uscente Luis Abinader, definibile con approssimazione un riformista, sarà essenzialmente l’ex presidente Leonel Fernández: per due volte alla guida della Nazione, l’ultima sino al 2012. Il candidato Abel Martínez Durán, sindaco di Santiago de los caballeros, pare, infatti, in ritardo nei sondaggi. Anzi, secondo l’ultima inchiesta elettorale, Abinader dovrebbe spuntarla al primo turno, forte del 62,4% dei voti. Solo un modesto 22,3% è accreditato invece al leader di Fuerza del pueblo (Fp): una formazione, sulla carta, di sinistra.

E’ tuttavia necessario mettere ordine sui profili ideologici dei candidati, anche per le ripercussioni in politica estera. Abinader, per cominciare, si presenta come un leader di centrosinistra; e tuttavia il Partido Revolucionario moderno (Prm) è piuttosto un partito della Nazione, attento a non scoprirsi a destra. E a sostenere le posizioni più conservatrici, come dimostra la gestione della crisi haitiana. Diverso il percorso di Fernández, vecchia volpe della politica, padre della patria, e un uomo per tutte le stagioni. Dopo aver guidato per anni il Partido de la Liberación dominicana (Pld), che nel bipolarismo locale ha rappresentato le istanze moderate, nel 2019 se ne discosta.

Tra contrasti con gli altri dirigenti e accuse di brogli alle primarie. Fino appunto all’ultimo approdo, quello tra i progressisti. I suoi mandati furono comunque segnati sì da stabilità macroeconomica e grandi infrastrutture, ma anche da scarsa attenzione per sanità e istruzione. Le sfide maggiori, per il vincitore, riguarderanno il rapporto con Haiti: dalle espulsioni su larga scala, stigmatizzate dalle organizzazioni umanitarie e da esponenti della Chiesa cattolica, alla costruzione del controverso muro, presso la frontiera (di quasi 400 chilometri) col turbolento vicino. E intanto Abinader, in clima da campagna elettorale, ha dichiarato che non intende adeguarsi agli inviti a sospendere le espulsioni di massa; una richiesta in tal senso era stata formulata dall’Alto Commissario delle Nazioni unite per i Diritti umani, l’austriaco Volker Türk.

Nell’ultimo anno sarebbero state, infatti, deportate circa 225mila persone, di cui 640 donne incinte. Il presidente ripete che il Paese continuerà ad applicare le proprie leggi e la sua Costituzione, ribadisce che da tre anni sta mettendo in guardia sul «caos» haitiano, e che non si può pretendere che la Repubblica possa risolvere da sola la situazione. Esclude quindi che il territorio nazionale possa ospitare un immenso campo profughi, che dovrebbe accogliere i circa 350mila sfollati haitiani. Eventualmente, suggerisce, dovrebbero essere prese in considerazione l’isola della Tortuga, e l’Ile de la Gonâve, in territorio haitiano. Per il leader dominicano siamo innanzi a una questione di sicurezza, e al contempo di sovranità, mentre si bollano come ridicole le accuse di apartheid e razzismo. Vanno letti in questa direzione anche gli sforzi per completare il muro alla frontiera, visto con favore anche da Fernández, che richiederà un investimento di 120 milioni di dollari. E’ in costruzione un primo tratto (in parte in cemento, in parte in recinzione metallica) della lunghezza di 48 chilometri, per un’altezza di 3,6 metri. Sarà poi innalzato un secondo pezzo, di oltre cento chilometri. Sono previste torri di sorveglianza, telecamere solari e l’impiego di militari dotati di droni.