Siria e Medio Oriente: dove sono l’Onu e le organizzazioni internazionali?

di C. Alessandro Mauceri

onuOltre mille morti in poche settimane a Gaza. Molti di questi bambini. La mediazione internazionale praticamente inesistente. L’ONU ha dimostrato di essere impotente, specie dopo che un numero consistente di Paesi si era astenuto o, addirittura, aveva votato contro l’intervento esplorativo dell’ONU in Israele. Come gli USA che dopo aver votato “no”, hanno approvato una proposta di legge che autorizza un contributo di 225 milioni di dollari da destinare proprio ad Israele (con questa somma i fondi USA destinati a finanziare la nuova arma israeliana ammontano a oltre 700 milioni di dollari). Fondi che serviranno a perfezionare ed implementare il sistema antimissile Iron Dome, utilizzato da Israele per intercettare i razzi lanciati nella striscia di Gaza. E che confermano il ruolo di primo piano degli americani nel vendere armi.
E mentre tutti i riflettori erano puntati sulla missione di Renzi in Egitto per “discutere” del conflitto tra Israele e Palestinesi e del problema del militare israeliano “rapito” (ma non sarebbe stato corretto dire “fatto prigioniero”?), nessuno parla della guerra in Siria o di quella in Ucraina. Solo nel mese luglio nella guerra civile siriana (fonte Osservatorio nazionale per i diritti umani, Ondus) sarebbero morte più di 5.300 persone. E tra questi, come è avvenuto sulla Striscia di Gaza, molte le vittime civili (1.067), tra cui 225 bambini e 140 donne. Situazione analoga in Ucraina dove i morti delle ultime settimane sarebbero stati oltre duemila e dove pare che l’UE avrebbe intimato alla Russia di non inviare aiuti!
Secondo cifre non ufficiali, dal 2011, i morti del conflitto in Siria sarebbero più di 170.000. Un conflitto che va avanti ormai da più di tre anni e con il coinvolgimento di gruppi jihadisti combattenti provenienti da altri Paesi si sta estendendo a macchia d’olio. Una guerra fratricida con centinaia di migliaia di morti. Ma il peggio non sono i morti, sono i feriti: “Ci sono solo due ospedali pubblici a Damasco, in cui invece che guarire ti ammali e ne esci morto”. Tra la gente si sempre più spesso si sente dire: “Rahat Suriyya” (“la Siria è andata, non c’è più”).
Le organizzazioni internazionali pare stiano per gettare la spugna incapaci di risolvere il problema. Il mediatore dell’ONU, Lakhdar Brahimi, ha rinunciare al suo incarico di inviato in Siria e ha presentato le dimissioni. Si è detto “dispiaciuto di […] lasciare la Siria in una situazione così cattiva”. E il suo successore ancora non ha mostrato concreti sviluppi. L’unica cosa che l’ONU è riuscita a fare è stata lanciare un appello per la raccolta fondi. Lo ha fatto con un editoriale congiunto sull’emergenza umanitaria firmato dai leader di tre Agenzie delle Nazioni Unite (Anthony Lake, direttore dell’UNICEF, Antonio Guterres, Alto Commissario ONU per i Rifugiati, UNHCR e Ertharin Cousin, direttore del Programma Alimentare Mondiale, WFP) e pubblicato sul sito web della CNN.
“Ogni giorno, ogni settimana che trascorre, per i Siriani la vita diventa più dura”. “Le condizioni di vita in tutte le aree del Paese si stanno rapidamente deteriorando. Oltre al terrore della violenza, la popolazione è vittima della minaccia congiunta di fame, freddo e malattie”. La maggior parte di essi non ha modo di fuggire e trovare rifugio nei paesi confinanti. Ma anche quelli che sono riusciti a scappare nei Paesi ospitanti si trovano in una situazione terribile. Le risorse di Libano, Giordania, Turchia e Iraq sono orami prossime ad esaurirsi e nessuno sa cosa accadrà quando non saranno più disponibili.
E la situazione potrebbe peggiorare nei prossimi giorni. Milioni di siriani, sopravvissuti alla guerra, potrebbero trovarsi senza acqua. Le piogge scarse e la distruzione delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie stanno causando un’emergenza idrica che potrebbe avere conseguenze umanitarie disastrose. Con conseguenze anche per l’agricoltura e per la sicurezza alimentare nella maggior parte del Paese. Secondo la SARC la produzione di grano del 2014 è prevista in calo del 52% rispetto all’anno precedente. Cosa che causerebbe un aumento del prezzo del pane e degli altri alimenti. Per questo motivo già da qualche giorno la guerra in Siria si sta spostando anche su un altro fronte: il controllo delle risorse idriche. Il gruppo jihadista dell’Is ha assunto il controllo il Lago Assad, la principale risorsa d’acqua potabile dello stato da cui dipendono circa cinque milioni di persone. Ma la siccità sta prosciugando anche questo bacino e presto sarà impossibile rifornire i villaggi circostanti. E per indebolire la popolazione, anche la distribuzione di pompe è stata ridotta costringendo i civili a rifornirsi da fonti non sicure e potenzialmente dannose per la salute.
Ma a chi fa comodo che in molte parti del mondo si continui a combattere?
Viene spontaneo domandarsi dove siano le organizzazioni internazionali. Che cosa hanno fatto in questi anni. Qual è stato il loro ruolo e la loro mediazione per ridurre i morti e le conseguenze del conflitto. Oggi non ha più senso parlare di economia o di problemi sociali in Siria: le prigioni e i luoghi di detenzione improvvisati sono pieni di uomini, donne e bambini. Sempre più spesso giungono voci che riferiscono di esecuzioni sommarie o di torture.
E chi non muore per la guerra civile muore di fame o a causa di malattie infettive. Dove sono gli enti internazionali preposti alla salvaguardia della salute? Dov’è l’UNHCHR, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e dov’è il DPKO, il Dipartimento per le operazioni di mantenimento della pace dell’ONU?
Quello dell’intervento in Siria è l’ennesima dimostrazione che le Nazioni Unite, nate nel 1945 sulle ceneri del tentativo d’inizio Novecento di creare la Società delle Nazioni (c’è chi dice che il solo risultato fu la Seconda Guerra Mondiale), non funzionano. Dovrebbero essere uno strumento “per preservare la pace e la sicurezza collettiva grazie alla cooperazione internazionale”, ma i conflitti nel mondo negli ultimi anni invece che diminuire sono aumentati. E il loro intervento non serve più nemmeno a ridurre i disagi per la popolazione civile.
L’unica cosa che ormai riescono a fare, forse, è giustificare le missioni di pace di alcuni Paesi “amici” in varie parti del mondo, quelle ricche di materie prime dove, dopo aver instaurato un regime “amico”, i soliti “amici” potranno fare soldi a palate con le concessioni.