Siria. Il “Terzo fronte” è ormai ufficiale: gli insorti dichiarano guerra agli jihadisti

di Guido Keller

siria els grandeAnche le opposizioni siriane si sono dette, un po’ tardivamente, in guerra contro gli jihadisti legati ad al-Qaeda ed in un comunicato hanno reso noto che “La Coalizione sostiene in pieno gli sforzi in corso del Libero Esercito Siriano di liberare le città dall’oppressione autoritaria” di Isil.
Diversamente non poteva essere, dal momento che non si contano più gli attacchi, anche con armi pesanti, di Jabat al-Nusra o dell’Isil (Stato islamico dell’Iraq e del Levante) nei confronti degli insorti e dei curdi del nord, fin da quando il 12 luglio proprio i guerriglieri dell’Isil avevano assassinato nei pressi di Laodicea (Lattakia) un alto comandante dell’Esercito libero siriano, Kamal Hamami; poco dopo a Qassem Saadeddine, portavoce dell’Els, era arrivata una telefonata in cui si minacciava la morte “di tutti quelli del Consiglio supremo militare”.
Il 25 settembre scorso diversi gruppi di jihadisti avevano diramato un comunicato congiunto con il quale facevano sapere il loro rifiuto di riconoscere “ogni forma di opposizione costruita all’estero, inclusa la cosiddetta Coalizione nazionale o governo transitorio”, guidato da George Sabra.
In più occasioni sono arrivate da parte della popolazione testimonianze di violenze e persino di eccidi commessi dagli jihadisti, di luoghi di culto profanati e di sequestri di religiosi, come nel caso delle 12 suore cristiane sequestrate a Maalula lo scorso 2 dicembre.
Anche la Turchia si è vista costretta a chiudere alcuni valichi di confine, per la precisione quelli di Bab al-Hawa e di Bab al Salameh, dopo la presa da parte dei qaedisti della cittadina settentrionale di Azaz, combattendo contro i curdi del nord e l’Esercito libero siriano. Tuttavia anche la mancata presa di distanza, per lo meno fino ad oggi, delle opposizioni nei confronti dei qaedisti ha alienato non poche simpatie nei confronti della causa anti al-Assad: d’altronde come chiedere ad un occidentale di sostenere la lotta ad al-Qaeda in Afghanistan e di appoggiare lo stesso gruppo in Siria?
I quattro tronconi delle opposizioni armate siriane sono l’Esercito libero siriano (Els), composto da insorti e agli ordini di Salim Idriss: è forte di circa 80mila combattenti; il Fronte Islamico siriano (Fis), comandato da Abu Abdullah al Hamawi, finanziato dai paesi del Golfo Persico (in particolare dal Qatar) e forte di 25mila combattenti; il Fronte Islamico siriano di liberazione (Fisl), comandato da Ahmed Eissa al-Sheikh, con circa 35mila armati; i gruppi autonomi, legati alla jihad quando non ad al-Qaeda, anche se i due principali, Jabat al-Nusra e l’Isil (Stato libero dell’Iraq e del Levante) sono stanti sconfessati dall’erede di Bin Laden, al-Zawahiri, lo scorso 8 novembre.
Fra le principali brigate, oltre a Liwa al-Tawhid, che fa parte del Fisl e che vorrebbe introdurre una forma di governo islamica, pur rispettosa delle minoranze religiose, vi sono: la brigata Farouq, comandata da Osama Juneidi ed affiliata sia al Fisl che all’Els; il Movimento islamico Ahrar al-Sham, Abu Abdullah al-Hamawi, affiliato al Fis e con il proposito di creare uno stato islamico basato sulla sharia; la brigata dei Martiri della Siria, finanziata dai sauditi e guidata da Jamaal Maarouf; l’Unità di protezione popolare, che si rifà ai curdi del Pkk; la brigata dell’Islam, che è agli ordini di Zahran Alloush, che è affiliata sia al Fis che al Fisl, finanziata anch’essa dai sauditi.
I gruppi degli jihadisti sono per lo più composti da stranieri, specialmente provenienti dal Nordafrica, dalla Penisola Arabica e dai paesi caucasici islamici, come la Cecenia e il Kazakistan.
Si è aperto quindi ufficialmente in Siria il “Terzo fronte”, inevitabile viste le continue azioni degli jihadisti contro gli insorti: la cosa tuttavia potrebbe favorire l’avanzata dell’Esercito siriano, la quale consentirà ad al-Assad di sedersi con un peso maggiore al tavolo dell’ormai prossimo (22 gennaio) “Ginevra 2”, la conferenza voluta dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e dall’omologo statunitense John Kerry, più volte procrastinata anche per l’indecisione degli insorti sulla loro partecipazione.