Siria, Libia, Iraq e Ucraina: il peso del servilismo agli Usa

di Dario Rivolta * – 

rivolta darioSiamo italiani ed europei. Ci sentiamo “occidentali” non solo nel senso geografico del termine e abbiamo sempre creduto che far parte dell’Organizzazione Atlantica fosse nella nostra natura e nel nostro interesse. Lo pensavamo, convinti, anche quando alcuni dei nostri connazionali chiedevano l’uscita dalla NATO e giocavano a fare i pacifisti a senso unico. Provammo anche una certa soddisfazione quando perfino il comunista Enrico Berlinguer ebbe a dire che si sentiva molto più sicuro in un Paese che era membro della NATO piuttosto che del Patto di Varsavia.
Nonostante non abbiamo mai creduto che gli americani fossero entrati in guerra per “liberarci” dal nazifascismo o per puro amore della democrazia, siamo anche convinti che ciò fosse, comunque, un bene per noi e per il futuro dell’Europa. E che se il piano Marshall fu funzionale anche alle esportazioni delle aziende americane, fu grazie a quei finanziamenti che la nostra economia poté rinascere.
Non ci spaventa sapere che gli USA hanno come primo obiettivo il loro stesso interesse. D’altra parte troviamo legittimo che i politici di ogni Paese perseguano il benessere dei propri cittadini, perfino se ciò dovesse andare a discapito di quello di altri Stati. Sappiamo che è un falso mito quello di confidare che in un mondo finito possa distribuirsi in modo uguale per tutti la stessa ricchezza e che tutti possano essere benestanti allo stesso livello.
Comprendiamo perfino che in tempi di comunicazione globale il “doppio standard”, applicato secondo la convenienza geo-politica, costituisca uno degli strumenti di politica internazionale a uso e consumo della propaganda. Perfino i valori frequentemente invocati, quali “difesa della democrazia”, “intervento umanitario”, “diritti civili”e “tutela delle minoranze” sono spesso semplice copertura d’interessi molto meno “ideali” e tutto ciò ci scandalizza, ma siamo obbligati ad accettarlo.
Quello che tuttavia troviamo incomprensibile e non accettiamo sono le scelte politiche, evidentemente sbagliate sin dal loro debutto, che, pur volendo perseguire certi interessi, finiscono inevitabilmente col ritorcersi contro chi le attua. Ciò che ugualmente critichiamo è l’ipocrisia di chi quegli errori li vede e li identifica ma che per personale opportunismo tace e acconsente.
Alludiamo ad azioni intraprese dai nostri principali alleati e sposate acriticamente dai politici europei per pavidità o per servilismo. Parliamo di errori palesi anche agli occhi dei ciechi a partire dalla guerra del 2003 contro Saddam Hussein, con la disastrosa gestione dell’immediato dopo-guerra, per arrivare a quanto si è fatto e si sta facendo in Siria, in Libia, in Egitto e in Ucraina.
Che la caduta di Saddam avrebbe aperto le porte a lunghi anni d’instabilità era così evidente che c’è da domandarsi quale fosse la salute mentale di quei neo-conservatori che la consideravano un futuro e virtuoso esempio per tutto il Medio Oriente. Che essa avrebbe lasciato un vuoto che gli iraniani si sarebbero precipitati a riempire era tanto chiaro quanto lo era che l’appoggio verso il filo-iraniano (e sciita settario) Nouri al-Maliki contro i sunniti avrebbe causato un’inevitabile reazione di questi ultimi. Reazione che si manifestò dapprima con lunghi anni di guerriglia e poi con la nascita e l’appoggio ai terroristi dell’Isis. Solo l’intelligenza del generale David Petraeus riuscì, per poco tempo, a ri-coinvolgere le tribù sunnite nella gestione del Paese. Purtroppo il ritiro definitivo delle truppe americane dall’Iraq fece precipitare la situazione in modo ancor peggiore.
Lo stesso errore, questa volta con una maggior responsabilità francese, fu commesso in Libia. Anche lì s’immaginò che la caduta del dittatore sarebbe stata facilmente rimediata con un nuovo Governo, più amico (di chi?) e ugualmente aggregante. Perché, anche in Italia, chi si opponeva all’intervento fu linciato mediaticamente con l’accusa di scarsa sensibilità ai diritti umani (vedi in particolare La Repubblica e il presidente Napolitano contro Silvio Berlusconi)? Allora tutti si spacciavano per esperti di politica internazionale e la gara era a chi si mostrasse più anti-dittatoriale degli altri. Dimenticavano, quei “buoni”, che di dittatori è ancora pieno il mondo e che Muammar Gheddafi non era il peggiore tra loro?
E in Ucraina? Cominciarono i polacchi, psicologicamente memori dell’invasione russa del ’39 e stranamente dimentichi di come essa, nello stesso momento, fosse partita dalla Germania. La loro psicanalitica fobia verso Mosca costrinse l’imbelle Commissione europea a lanciare il progetto, evidentemente anti-russo, della Eastern Partnership. L’operazione riuscì con la Georgia e meno con la Moldavia e l’Azerbaigian. Fallì invece in Bielorussia, in Armenia e in Ucraina.
Fu per quest’ultimo, inaspettato (?), fallimento che polacchi, americani e baltici, aiutati in modo meno esposto da gruppi svedesi, tedeschi e di altri gregari, organizzarono il malcontento locale. Esso era giustificato dalla povertà diffusa e dall’endemica corruzione del regime; tuttavia soldi, armi e ispiratori stranieri lo esasperarono fino a farlo scoppiare a Maidan. Arrivarono perfino a far sparare alla cieca, da sicari tuttora sconosciuti, sulla folla e sulla polizia pur di creare il punto di non ritorno. Il risultato? Una guerra civile di cui ancora, Minsk o non Minsk, non si riesce a intravedere la fine. Nel frattempo si lanciano sanzioni economiche contro Mosca e si fa finta di non vedere che gli accordi sottoscritti da tutti non tengono, non a causa di quest’ultima ma proprio dei partiti “filo-occidentali”. Perché allora non si lanciano sanzioni contro questi ultimi? Ma soprattutto: che ce ne facciamo dell’Ucraina? Perché dobbiamo continuare a vedere la Russia come “il” nemico fingendo di non vedere il pericolo che arriva da Paesi molto più orientali?
Un altro errore è la cecità che ha portato a una guerra civile ancora più cruenta: quella siriana. Facendo finta di credere a una locale “primavera araba”, i nostri alleati turchi e sauditi, una volta di più spalleggiati dal “papà” americano, hanno armato e finanziato vari gruppuscoli di guerriglieri. Anche in quel caso qualcuno era convinto di cavarsela in poco tempo e senza problemi. A differenza dell’Iraq e della Libia però l’obiettivo non era solo uno e condiviso. Se pur ciascuno mirava alla caduta di Bashar al-Assad e al ridimensionamento dell’Iran, ognuno pensava a un “dopo” a propria misura: la Turchia immaginava una nuova zona di propria influenza e i sauditi pensavano alla loro egemonia regionale sulle onde del wahabismo religioso ostile ai fratelli musulmani sponsorizzati dai turchi. Agli americani poteva andar bene allontanare l’Iran e lasciare poi i due galli a litigare tra loro nel pollaio. Ma, anche qui, quale è il risultato? Armi e soldi sono arrivati sia ad al-Qaeda sia all’Isis, mentre milioni di persone sono in fuga dal Paese, centinaia di migliaia sono i morti e patrimoni storici ineguagliabili sono distrutti.
Il paradosso oggi è che qualcuno, reduce scontento dalla guerra fredda, accusa i russi di uccidere civili nei loro bombardamenti e di aver fatto fallire gli ultimi tentativi di negoziazione. Che si possa fare propaganda, lo abbiamo già detto, è comprensibile, ma come si può rendere credibile che i civili siano uccisi solo dalle bombe russe mentre quelle “occidentali” uccidono solo soldati? Come negare che i russi sono gli unici che, assieme ai curdi, stanno facendo veramente la guerra contro i terroristi dell’Isis, mentre i bombardamenti americani sono condotti al risparmio? Si vuole rimproverare i russi perché attaccano anche gli altri ribelli oltre ai mujaheddin? Perché non dovrebbero farlo? Chi ci dice che quelli tuttora sponsorizzati da turchi e sauditi siano migliori e non anch’essi fanatici integralisti? Infine, dichiarando la loro volontà di inviare truppe di terra, a cosa mirano oggi questi due nostri pseudo – alleati?
E noi europei (ma anche i nostri amici americani) siamo convinti che una Siria post-alawita possa davvero diventare un fattore di nuova stabilità in Medio Oriente? Chiunque osservi con freddezza e cognizione di causa sa che così non sarebbe.
Ogni soluzione politica è ora potenzialmente possibile, ma solo grazie all’intervento russo. E’ con loro, e con l’oligarchia attorno ad al-Assad, che si deve necessariamente negoziare se si vuole porre termine al conflitto.
In conclusione, pur confermando che l’Italia e l’Europa vedono e devono continuare a vedere l’alleanza con gli Stati Uniti e con la NATO come positiva e irrinunciabile, la storia recente ci dimostra che è nostro interesse, e nostro dovere, non accettare supinamente ogni decisione che arrivi da oltre Atlantico e, soprattutto, dobbiamo imparare a saper distinguere cosa convenga a noi e cosa ai nostri alleati, veri o presunti che siano (leggi Turchia e Arabia Saudita).
I nostri politici potranno continuare a mettere la testa sotto la sabbia e accettare per buono ogni errore senza nulla obiettare. Noi no.
Un vecchio detto cinese recita: solo i tuoi veri amici ti diranno quando la tua faccia è sporca!

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.