Usa. Lo strano caso di Bernie Sanders

di Manuel Giannantonio

Sanders bernieLa vittoria di Bernie Sanders di fronte a Hillary Clinton alle primarie democratiche del New Hamsphire conferiscono a questo candidato il titolo di potenziale leader. Tuttavia, come spesso accade, non bisogna vendere la pelle dell’orso prima di averlo preso. Questo, i candidati delle primarie lo sanno bene. La sua vittoria resta comunque impressionante: il 60% delle preferenze contro soltanto il 38% incassato da Hillary Clinton. Imponendosi alle primarie del New Hamsphire, il senatore del Vermont ha segnato un passo importantissimo.
La campagna elettorale di Bernie Sanders è già di per sé una vittoria incredibile. Quest’uomo è un soggetto perfetto per la stampa e per i critici politici. Molti cittadini americani iniziano a lamentarsi: la battaglia per l’investitura dei due partiti è una delle più deboli che il paese ha conosciuto. Basta ricordare i grandi momenti di slancio popolare della prima vittoria di Barack Obama nel 2008 (“Yes, we can”) e l’adesione suscitata dalla sua seconda candidatura. Quella di quest’anno, invece, si presenta come una corsa priva di leader.
Certo, Berni Sanders è un candidato posato, politicamente preparato, non racconta barzellette e non dice parolacce. Non fa nemmeno l’occhiolino alle telecamere. Rispetto al milionario Donald Trump, che ha chiamato il suo rivale Ted Cruz “pussy”, è di una compostezza facilmente apprezzabile. Sanders, è il candidato più “normale” dei pretendenti allo studio ovale. Molti lo trovano “troppo vecchio” (festeggerà 75 anni proprio nel giorno d’insediamento del nuovo presidente), ma è l’unico ad offrire l’immagine di una certa saggezza, difficilmente reperibile nei suoi avversari.
Il senatore del Vermont ha le sue convinzioni, molto di sinistra secondo gli standard americani, anche se ha un innegabile talento nel coinvolgere la classe media. Lo scorso gennaio è addirittura apparso sorridente esponendo eccellenti doti comunicative. Il suo programma economico non è molto chiaro, ma i suoi punti di forza sono noti: tasse scolastiche considerevolmente abbassate, aumento delle tasse per i più ricchi, raddoppio del salario minimo (da 7 a 14 dollari). I giovani elettori approvano.
Ma a cosa si assiste da un mese nel clima elettorale statunitense? Sanders può davvero considerarsi un leader che settimana dopo settimana sta crescendo? O semplicemente questi risultati sono frutto della pessima campagna elettorale di Hillary Clinton? Una campagna talmente programmata alla vittoria finale da far sembrare la stessa Clinton troppo austera, tesa e poco empatica. In molti pronosticavano una facile vittoria per il segretario di Stato del primo mandato Obama. La realtà dei fatti è decisamente diversa. Per ora però Sanders ha un punto debole, la comunità afroamericana e quella ispanica: considerando il paese del quale si sta parlando non è cosa da poco. In questo senso accusa un notevole ritardo nei confronti dei suoi avversari democratici. Se la vittoria del New Hamsphire gli serve indubbiamente come trampolino di lancio, potrebbe perdere voti importanti nei prossimi appuntamenti se non riuscirà a ridurre il gap elettorale nei confronti della sua rivale.
Bernie Sanders gode di un notevole consenso nelle città più progressiste degli Stati Uniti da San Francisco a New York passando per Philadelphia, Portland, Austin e Sacramento. Un elettorato ovviamente connesso con la tecnologia, dove regnano i media, dove la gente è istruita e lavora. Un elettorato giovane.
Il sistema di scrutinio delle elezioni americane è uno dei più complicati del mondo ma ogni finalista si è sempre assicurato nel mese di novembre una maggioranza di elettori nei cinque Stati chiave (New York, California, Illinois, Florida, e Texas). A quel punto più di metà strada per la Casa Bianca è stata compiuta. Bernie Sanders potrebbe arrivare fino a questo punto e magari essere il 45mo presidente della storia degli Stati Uniti? Di fronte a Donald Trump, probabilmente sì. Più complicata invece se si trovasse come avversario Marco Rubio.