Somalia. Crisi politica dopo il no alla proroga del mandato presidenziale

di Alberto Galvi

Il mese scorso la proroga del mandato presidenziale somalo è stata approvata dalla Camera ma respinta dal Senato, provocando una crisi che si è intensificata nell’ultima settimana. La Camera alta del parlamento somalo ha annullato una proroga di 2 anni per il proprio mandato e per quello del presidente al fine di allentare le pressioni interne e internazionali.
Il presidente Farmajo aveva chiesto ai legislatori di ripristinare l’accordo dell’anno scorso tra il governo federale, i leader di cinque stati membri federali e il governatore di Mogadiscio, ma le opposizioni avevano accusato il capo dello Stato di stallo e le forze di sicurezza fedeli all’opposizione si erano rifiutate di ritirarsi dalle posizioni fortificate nella capitale.
All’inizio della scorsa settimana, mentre le tensioni aumentavano nella capitale con fazioni rivali delle forze di sicurezza pronte allo scontro, il presidente ha promesso alla nazione che sarebbe comparso davanti al parlamento, il quale ha poi votato all’unanimità per il ribaltamento della decisione del 12 aprile scorso. L’esito del voto è stato annunciato dal presidente del parlamento, affermando che tutti i 140 legislatori presenti alla riunione hanno votato “SI” all’accordo.
Intervenendo davanti ai deputati poco prima del voto, Farmajo si è anche impegnato a consegnare il processo elettorale e la guida della sicurezza del paese al premier Mohamed Hussein Roble, il quale ha ordinato all’esercito di tornare in caserma e ha esortato i politici a evitare di incitare alla violenza. Non è stato immediatamente chiaro cosa avrebbero fatto le forze armate somale, le quali includono membri delle milizie dei clan che si sono spesso combattuti tra loro per il potere e le risorse.
La richiesta del presidente è stata il risultato delle pressioni dei partner internazionali della Somalia, compresi gli Usa che si sono opposti all’estensione del termine che ha innescato scontri armati a Mogadiscio tra soldati governativi e fedeli ai candidati dell’opposizione, tra cui due ex presidenti e un primo ministro.
Lo scorso martedì 27 aprile la tensione ha raggiunto il suo picco quando due Stati membri federali alleati del presidente, Galmudug e Hirshabell, hanno rotto l’accordo e si sono opposti all’estensione del termine, unendosi agli Stati del Puntland e del Jubaland.
Roble ha rilasciato una dichiarazione poco dopo avallando la dichiarazione congiunta dei due Stati membri federali, e più tardi Farmajo, che avrebbe chiesto al parlamento di annullare l’estensione, ha esortato i firmatari dell’accordo del 17 settembre a colloqui immediati per discutere la via da seguire per uscire dall’empasse.
Escludendo qualsiasi tipo di proroga del mandato, la decisione odierna del parlamento ha sostenuto elezioni indirette che si terranno sulla base dell’accordo, noto come “accordo del 17 settembre”. Secondo quel piano i legislatori federali sarebbero eletti indirettamente. I legislatori eleggerebbero quindi il presidente.
Quell’accordo è stato invalidato unilateralmente dalla Camera bassa senza il voto della Camera alta, dando ai rami esecutivo e legislativo altri due anni per preparare le elezioni popolari.
Mohamed Farmajo ha firmato la legge il 13 aprile, scatenando la rabbia dell’opposizione e la disapprovazione della comunità internazionale, ma ha anche diviso l’esercito nazionale e le forze di polizia della Somalia. Le forze armate somale includono membri delle milizie dei clan che si sono spesso combattuti tra loro per il potere e le risorse. Farmajo è del clan Darod, la maggior parte dei leader dell’opposizione e dell’esercito somalo nella capitale sono del clan Hawiye.
Il mandato del parlamento somalo è scaduto il 27 dicembre 2020, mentre Il mandato del presidente è scaduto lo scorso 8 febbraio.