Stoltenberg, ‘porteremo l’Ucraina nella Nato’. E dalla ministeriale Esteri piovono soldi su Zelensky

di Enrico Oliari

Il ministro della Difesa russo Sergey Shoigu si è sentito al telefono con la controparte francese Sebastien Lecornu, e da Mosca è stata segnalata la “disponibilità al dialogo sull’Ucraina”, magari ripartendo dal piano di Istanbul. Tuttavia, ha precisato nella nota il ministero russo, “se la Francia invierà, come dichiarato dall’Eliseo, militari nel conflitto ucraino, vi saranno problemi per la stessa Francia.
La telefonata tra i due ministri arriva all’indomani dell’avvio della ministeriale Esteri della Nato, dove il segretario generale Jens Stoltenberg è tornato a ribadire l’impegno a portare l’Ucraina nell’Alleanza Atlantica una volta terminato il conflitto.
L’adesione dell’Ucraina alla Nato è stata stabilita nel 2008 a Bucarest insieme a quella della Georgia e, come ha confermato di recente il presidente russo Vladimir Putin, è una delle cause principali del conflitto in corso in Ucraina: in occasione della caduta del Muro di Berlino era stato garantito all’allora Blocco sovietico che la Nato non si sarebbe espansa oltre l’Elba, ma da allora vi è stato un continuo allargamento dell’alleanza militare che, con l’Ucraina, comporterebbe il dispiegamento di forze e basi praticamente sulla porta del nemico.
Stoltenberg si è spinto anche oltre affermando di ritenere che “sia molto importante mantenere il processo in una fase sola affinché l’Ucraina diventi membro, eliminando i requisiti del Piano d’azione per l’adesione e quindi garantendo che quando viene lanciato un invito, equivale a diventare membro nella NATO”. Tra le varie giustificazioni dell’urgenza di assimilare l’Ucraina, il segretario della Nato mette il mancato rispetto degli accordi di Minsk, imputando della cosa Mosca. In realtà gli accordi non sono stati rispettati da entrambe le parti, e in particolare il Minsk-II, che prevedeva entro il 2015 la stesura di una nuova Costituzione ucraina che prevedesse le autonomie nei territori russofoni (come avviene ad esempio in Alto Adige) è stato fatto carta straccia proprio da Kiev. Invece dell’autonomia regionale nel Donbass è arrivato il battaglione neonazista dichiarato Azov, che ha commesso crimini di guerra (fonti Osce, 2015), e il governo centrale ha chiuso la stampa in lingua russa, una serie di scuole in lingua russa e vietato il russo negli atti pubblici.
I ministri degli Esteri della Nato hanno accolto le pressanti richieste di Kiev di missili, armamenti e finanziamenti, per quanto l’avanzata russa non si sia arrestata. Il ministro italiano Antonio Tajani ha riferito che “ci si aspetta un’offensiva russa con la fine dell’inverno”, ma ha ribadito la contrarietà dell’Italia all’impiego di militari della Nato in Ucraina, eventualità che avvierebbe un’escalation dagli esiti non prevedibili.
Al vertice sono stati messi sul piatto 100 miliardi di dollari per la crisi ucraina, denaro che mancherà ai vari paesi per finanziare ad esempio sanità e istruzione, e in un’Unione Europea che nel 2022 ha rinunciato al suo ruolo pacificatore e di mediazione, il Pesc Josep Borrell ha promesso al ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba un maggior impegno economico e di forniture militari a partire dai 5 miliardi presi, ironia della sorte, dal “Fondo per la pace”.