Sud Sudan. Processo di pacificazione nazionale sempre a rischio

di Valentino De Bernardis –

Salva_kiirTra alti e bassi continua il difficilissimo processo di pacificazione nazionale in Sud Sudan. Difficilissimo non vuol dire impossibile, e forse questo è l’unica connotazione positiva che si può trarre dal susseguirsi degli eventi, specialmente per quelli dell’ultimo mese, nel paese più giovane dell’Africa Sub Sahariana.
Nella realtà dei fatti, dopo la modifica costituzionale dello scorso 19 novembre, che facendo seguito all’ordinanza n.36/2015 del mese di ottobre 2015, delegava al presidente in carica Salva Kiir Mayardit ampi poteri per quanto riguardava la creazione di nuovi stati federati e la nomina dei governatori a capo degli stessi, a fine dicembre il presidente Kiir ha provveduto a usare i nuovi poteri conferiti, creando diffusi malcontenti.
Nella serata del 24 dicembre, con un discorso alla televisione di stato SSTV, Kiir ha annunciato la nomina dei ventotto governatori che all’indomani si sarebbero insediati nelle ventotto nuove entità statuali (prima ne erano dieci) in cui è stato suddiviso il paese.
La lista completa prevede: Natisio Loluke Manir (Imatong); Louise Lobong Lojore (Namurnyang); Africano Monday (Maridi); Joseph Pachiko (Amadi); Patrick Raphael Zamoi (Gbudwe); Augustino Jadalla Wani (Jubek); Juma Ali Malou (Terekeka); David Lokonga Moses (Yei River county); Elias Waya Nyipouch (Wau); Ronald Ruai Deng (Aweil); Rizik Zachariah Hassan (Lol); Deng Deng Akuei (Aweil East); Bona Pariek Biar (Twic); Abraham Gum Makuach (Gogrial); Akech Tong Aleu (Tonj); Ring Tueny Mabol (Eastern Lakes); Abraham Makoi Bol (Western Lakes); Madang Majok Meen (Gok); Joseph Monytuil (Northern Lich); Teker Riek Dong (Southern Lich); Mayol Kur (Kweng); Philip Aguer Panyang (Jonglei); William Othon Awer (Western Nile); Chol Thon Balok (Eastern Nile); James Kok Ruai (Western Bieh); Peter Bol Kong Nguoth (Eastern Bieh); Peter Lam Buoth (Latjor); Baba Medan Konyi (Boma).
Sebbene gli esponenti del partito di governo, Sudan People’s Liberation Movement (SPLM – Juba), abbiano tenuto a sottolineare come la decisione di ridisegnare la divisione amministrativa nazionale abbia come obiettivo principale quello di migliorare il funzionamento dell’apparato statale, puntando su una maggiore decentralizzazione come catalizzatore allo sviluppo e al sostentamento delle comunità rurali, nella realtà dei fatti, sembra più prettamente una mossa politica per acquisire un forte controllo sul territorio, oltre che ad un indiretto maggiore consenso.
A favore del decreto presidenziale si è schierato il capo dell’esercito regolare Paul Malong Awan, che oltre ad aver apprezzato la scelta del colonnello Aguer alla guida dello Stato del Jonglei, ha anche annunciato il pieno sostegno dell’esercito al governo in caso di bisogno.
Di carattere completamente diverso le osservazioni da parte del partito ufficiale di opposizione Sudan People’s Liberation Movement-Democratic Change (SPLM-DC), rappresentato da quattro parlamentari all’Assemblea Nazionale, che ha denunciato l’incostituzionalità del decreto. Attraverso il suo leader Lam Akol Ajawin si è sottolineato come l’azione presidenziale non solamente metta a repentaglio gli accordi di pace del 26 agosto 2015, in cui le forze in campo avevano trovato un’intesa sulla suddivisione delle sfere d’influenza su 10 stati e non su 28, ma anche come sia prerogativa unica del parlamento la modifica dei confini statuali all’interno del Sud Sudan, cosi come la nomina dei governatori (tornando a contestare di fatto il voto parlamentare di modifica costituzionale del 19 novembre).
Se qui terminano le reazioni dei soggetti all’interno dell’apparato istituzionale nazionale, a preoccupare sono le posizioni che verranno assunte dai ribelli del Sudan People’s Liberation Movement-in-Opposition (SPLM-IO), guidati dall’ex vicepresidente Riek Machar Teny Dhurgon, che dal dicembre 2013 hanno dato vita alla lotta armata contro il governo di Juba. Proprio il lunedì precedente all’annuncio del presidente Kiir, dopo continui invii, una delegazione di 15 membri del SPLM-IO, guidata da Hassan Ramadan Laku, era giunta nella capitale per avviare i colloqui alla formazione di un governo di transizione di unità nazionale, che avrebbe dovuto preparare il terreno a gennaio per un rientro a Juba di Machar. Resta quindi difficile dire ad oggi se e come verrà implementata il trattato di pace, di certo il SPLM-IO ha in teoria tutte le giustificazioni politiche per far saltare il tavolo e poter forzare la mano.
Pur non volendo prendere una posizione a favore del governo di Juba o dell’opposizione, rimane nella cronaca la contrarietà espressa ad ottobre 2015 di Stati Uniti, Inghilterra e Norvegia (a cui poi si sarebbe unita l’Unione Europea) al progetto del presidente Kiir di riforma costituzionale, proprio per le possibili ricadute negative sul processo di pacificazione a cui tutti (?) dichiarano di voler arrivare.

@debernardisv
Le opinioni espresse in questo articolo sono a titolo personale.