Terminato il mandato di Pepe Mujica, il “Presidente più povero”. Che ha lanciato l’Uruguay

di C. Alessandro Mauceri

Mujica_pepePochi giorni fa è scaduto il mandato presidenziale del presidente dell’Uruguay Pepe Mujica.
Raramente i media hanno parlato di José Alberto Mujica Cordano. La carriera “politica” di Pepe Mujica (questo è il nome con cui è chiamato nel suo paese) iniziò molti anni fa, da guerrigliero. Erano i tempi della dittatura e l’unico modo per far sentire la propria voce erano le armi. Poi qualcosa cambiò e Pepe decise di appendere al chiodo le armi e di combattere con la sua parola: divenne portavoce del Movimento di Partecipazione Popolare, raggruppamento maggioritario del Fronte Ampio e fu eletto deputato e senatore. Venne nominato ministro all’Allevamento, Agricoltura e Pesca. A novembre 2009, vinse le elezioni presidenziali.
Il suo modo di gestire la “cosa comune” è sempre stato fuori del comune. A cominciare dal modo di “essere presidente”. Pepe Mujica (lo stesso ha fatto il suo vice) ha rinunciato al 90% del suo stipendio e lo ha donato ad organizzazioni non governative e a persone bisognose; per sé ha trattenuto meno del dieci per cento (circa 800 Euro) dello stipendio. Una decisione che gli è valso il soprannome di “Presidente più povero del mondo”. “Noi politici dobbiamo vivere come la maggior parte della gente, non come la minoranza. Io vivo come il popolo del mio paese” è stata la sua giustificazione. Niente auto di lusso o elicotteri di stato per gli spostamenti: solo una vecchia Volkswagen Maggiolino del 1987, ricevuta in regalo da alcuni amici. E invece di vivere nel palazzo presidenziale, ha continuato ad abitare in una piccola casa a Rincón del Cerro, alla periferia di Montevideo.
Uno stile di vita spartano che nasconde però una grande mente politica. Come dimostra la campagna lanciata durante la sua presidenza, per ridurre la diffusione di armi nel paese. In Uruguay un cittadino su tre possiede un’arma e solo la metà di queste sono registrate. Per questo Pepe Mujica ha lanciato la campagna “Armas para la vida” e ha deciso di regalare una bicicletta o un computer portatile a chi avesse consegnato le armi. Contemporaneamente ha varato una legge con cui veniva inasprita la pena per il possesso illegale di armi.
“Io credo molto nella natura, adoro la natura”, sono queste le sue parole. Non le parole di un politico a poco prima delle elezioni, ma fatti concreti: in pochi media ne hanno parlato, ma il discorso di Pepe Mujica, pronunciato nel 2012 alla Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile Rio+20, è già entrato nella storia e rimarrà nel cuore di chi davvero tiene all’ambiente. In quell’occasione il presidente dell’Uruguay denunciò apertamente l’assurdità del mondo in cui viviamo e lo sperpero di risorse che è oggi di moda, un modo di vivere che non possiamo più reggere. Parole, come sempre, seguite da azioni concrete. “Entro il 2016 copriremo oltre il 30% del nostro fabbisogno energetico con fonti rinnovabili. Abbiamo approfittato del fatto che l’Europa era in crisi, e che alcuni progetti non sarebbero più stati realizzati lì. Abbiamo iniziato a ricevere offerte per i parchi eolici a prezzi davvero convenienti”. “Con il talento e il lavoro di squadra l’uomo può rendere verdi i deserti, coltivare il mare e mettere a punto metodi per usare l’acqua salata per l’agricoltura. Un mondo con una migliore umanità è possibile, ma forse oggi la prima priorità è salvare vite umane”. Questo è Pepe Mujica. Un presidente che con molta umiltà e altrettanta determinazione ha raggiunto performance ambientali migliori di molti paesi “tecnologicamente avanzati”.
Non a caso mentre diverse nazioni occidentali stanno scendendo nella graduatoria del Pil pro capite (l’Italia in un solo anno ha perso due posizioni), l’Uruguay la sta scalando.
Ma risultati rilevanti sono stati raggiunti anche sotto il profilo sociale. In pochi anni l’Uruguay ha attuato cambiamenti che in molti paesi ben più avanzati ancora giacciono sui tavoli dei ministeri. Modifiche come la legalizzazione dei matrimoni tra omosessuali. O come la legalizzazione dell’aborto (in America Latina, oltre che in Uruguay, è legale solo a Cuba e Città del Messico). Anche il diritto allo studio, in Uruguay, è davvero un diritto per tutti. Il presidente ha capito che il lavoro minorile e lo sfruttamento si contrastano eliminando l’analfabetismo con l’arma dell’istruzione. E i risultati non si sono fatti attendere: in meno di dieci anni la percentuale di uruguayani che viveva al di sotto della soglia di povertà è passata dal 39% all’11% (meno che oggi in Italia) e la povertà estrema è scesa dal 5% ad appena lo 0,5% (meno di molti paesi Europei).
La povertà è diminuita anche perché l’economia è cresciuta: gli investimenti sono passati dal 13% del Pil al 25%. Una crescita, quella ottenuta grazie alle misure introdotte dal “Presidente più povero del mondo”, che è diverse volte maggiore di quella di molti paesi industrializzati: negli Usa la percentuale degli investimenti sul Pil è tra il 7,1 e l’ 8,9%, un terzo di quella uruguayana. Eppure, tutti i tg riportano la performance degli Usa e lodano Obama per il risultato migliore dal 2003, mentre nessuno parla di ciò che ha fatto Pepe Mujica.
L’Uruguay, grazie alla gestione del presidente, è stato insignito del titolo di Paese dell’Anno 2013 rilasciato dal giornale The Economist che lo ha definito uno stato liberale, coraggioso, in cui è possibile mantenere una buona qualità della vita, soprattutto dal punto di vista del benessere e della serenità. Uno schiaffo a molti paesi europei la cui situazione, sotto tutti i punti di vista, continua a peggiorare a causa della cattiva gestione della “cosa comune” da parte dei politici. Quelli a cui interessa solo finire sulle prime pagine dei giornali, magari facendo un bel selfie.