Usa. Studiata e non gaffe la telefonata di Trump con la presidente di Taiwan

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La telefonata del 2 dicembre tra la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, e il presidente entrante alla Casa Bianca Donald Trump non sarebbe stata dovuta ad un errore dovuto all’inesperienza e alla mancanza di consiglieri preparati, come la si era cercata di far passare. E neppure un gaffe, che comunque aveva suscitato le pronte reazioni di Pechino per cui si leggeva in un comunicato che “c’è solo un’unica Cina nel mondo e Taiwan è un’inseparabile parte del territorio cinese. Il governo della Repubblica popolare cinese è il solo legittimato a rappresentare la Cina”.
Dietro alla telefonata, per cui Trump aveva precisato via Twitter che “called me”, vi sarebbe infatti la tela intessa dall’ex senatore Usa Bob Dole, lobbista del gruppo Alston & Bird, il quale avrebbe impiegato sei mesi di lavoro e di pressioni ad alto livello fra le due parti per lanciare un chiaro segnale volto al riavvicinamento, dopo la rottura delle relazioni diplomatiche nel 1979, quando il politically correct imponeva la politica dell’“one China”.
Si aggiunge così un altro indizio che lascia pensare ad una revisione dei rapporti fra gli Usa e Pechino, e già in campagna elettorale le uscite del neopresidente sul tema Cina non lasciavano preludere a un buon clima, con Trump che era stato chiaro nel manifestare le sue intenzioni di mettere dazi del 45 per cento sulle merci provenienti dalla Cina al fine di proteggere la produzione e il lavoro negli Usa, come pure aveva indicato il proposito di ridurre la presenza in oriente di navi e aerei affinché gli storici alleati, cioè il Giappone e la Corea del Sud, provvedessero da soli alla propria difesa dalla minaccia cinese, anche dotandosi di armi atomiche.